Aperto l'anno accademico della Facoltà teologica dell’Italia settentrionale e dell’Istituto superiore di Scienze religiose di Milano. Il saluto di monsignor Delpini e la lettura della prolusione della ministra Cartabia, assente per un grave lutto familiare
di Annamaria
Braccini
«Lo chiameremo un sollievo trattenuto, sospeso, dopo la grande aspettativa che la parentesi della pandemia fosse conclusa? O daremo a questo momento il nome dello smarrimento per il mescolarsi della frenesia della ripresa con l’asprezza della discussione e l’apprensione per le fasce più deboli? O perché si ha l’impressione che l’incalzare della corsa e degli appuntamenti, faccia dimenticare le domande, il desiderio di raggiungere una meta e la ricerca di un senso?. Il nome giusto per il momento è irrilevanza? Perché, magari ci impegniamo molto, ma chi ci ascolta? Chi interroga la teologia per le questioni della vita? Chi rivolge alla Chiesa un’aspettativa per orientare le proprie scelte? Dove va finire il sapere offerto da questa Facoltà?». Insomma, come definire il tempo che stiamo vivendo e chiamare questo inizio di Anno accademico?
I 55 anni della Facoltà e i 60 dell’Istituto
È l’interrogativo che l’Arcivescovo si pone e pone alle molte autorità, docenti, studenti, personale della Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale presenti alla cerimonia di inaugurazione – da lui aperta nella sua veste di Gran cancelliere – dell’Anno 2021-2022 dell’Ateneo e dell’Istituto superiore di Scienze religiose di Milano. (vedi qui sotto la cerimonia integrale).
Un evento atteso, in occasione del 55° della Facoltà, del 60° dell’Issrm e soprattutto per la prestigiosa prolusione, dal titolo «Religioni e diritto in una società aperta», affidata alla ministra della Giustizia Marta Cartabia (assente per un grave lutto familiare), proposta ai partecipanti tra cui i vescovi, monsignor Claudio Giuliodori (assistente ecclesiastico generale dell’Università Cattolica), monsignor Daniele Gianotti (vescovo di Crema e presidente del Comitato per gli studi superiori di teologia e di scienze religiose della Cei), e l’ausiliare monsignor Paolo Martinelli.
Il contributo che può dare la teologia
La risposta alla domanda iniziale arriva con la parola più adatta, «forse non popolare, ma necessaria, la profezia che viene da Dio, dalla rivelazione di Gesù per questo tempo. Una profezia che non sia solo invettiva o denuncia, ma anche disponibilità all’ascolto e al dialogo».
Nel riferimento al discernimento e alle sfide raccolte dal Sinodo minore «Chiesa dalle Genti», nasce l’indicazione del contributo che la teologia può offrire: «Rendere più praticabile il dialogo, più intellegibile il messaggio cristiano, più costruttiva la presenza dei credenti in questa terra, custodendo una profezia che sia anche una dichiarazione di disponibilità all’avvio di un incontro tra le istituzioni, le persone, le diverse realtà» (vedi qui sotto l’intervista all’Arcivescovo).
Epis: «Né contrapposizione, né ripiegamento»
Un invito ripreso dall’intervento del preside della Facoltà, don Massimo Epis: «Il pluralismo è un tratto tipico del nostro tempo che investe anche il fenomeno religioso. In questo quadro, l’affermazione dell’identità specifica della fede cristiana non può prodursi in una contrapposizione polemica e nemmeno in un ripiegamento autoreferenziale. Le tradizioni religiose sono, per un verso, chiamate a rispettare il diritto, per un altro, ad offrire il loro contributo in ordine alle ragioni ultime che conferiscono senso all’avventura umana e, quindi, alla fondazione del diritto stesso. Se la presenza della Chiesa vuole essere operosa ma non invadente, propositiva, ma non arrogante, deve dedicare passione e risorse per approfondire e comunicare le ragioni di una speranza che riceviamo per grazia e che è capace di rigenerare il bene comune, anche di chi non crede. La riflessione teologico-pastorale desidera offrire un contributo alla profezia necessaria alla Chiesa, per disegnare lo stile e le forme di una testimonianza che sia di lievito per la città degli uomini».
Da parte sua, il preside Cozzi illustra il significato e l’attività dell’Istituto superiore di Scienze religiose, «presente con lo sforzo dell’elaborazione di una religiosità nel mondo della cura, con percorsi su arte, fede e cultura, e con l’attività, ormai decennale, del Seminario interreligioso fatto con il piglio di volere interloquire con realtà religiose diverse presenti sul territorio».
La prolusione: i credenti e lo Stato laico
Alessandro Baro, capo delle segreteria della ministra Marta Cartabia, ne legge la prolusione, che approfondisce il tema del rapporto tra fede e diritto, tra Stato e religione, tra passato e presente non solo nel nostro Paese: «La neutralità della laicité alla francese si è rivelata illusoria e ha prodotto danni, anche perché è il risultato della cultura dominante di deriva, oggi, secolaristica. Nei fatti, tale laicità non è rispettosa della vera pluralità: un fallimento come ha riconosciuto lo stesso presidente francese Macron».
Se certamente, «la legge positiva dello Stato è sempre meno ispirata ai valori della morale cristiana, cosa può fare, dunque, un credente e come vivere in uno Stato laico come è quello italiano?». Chiara la risposta: «Chiedendo, per esempio, l’obiezione di coscienza, pur nella consapevolezza che le esenzioni sono, comunque, strumenti divisivi, creano frammentazione e non coesione sociale, privatizzano i gruppi invece che andare verso l’inclusione».
Tuttavia, avverte Cartabia, «in alcuni frangenti, tale esenzioni sono necessarie come davanti a leggi che negano ogni forma di umanità, ma devono essere una extrema ratio, non un modo ordinario di fare dissenso».
Il caso del crocifisso rimosso
D’altra parte, la stessa Corte costituzionale, nel 2013, ha affermato che occorre procedere al bilanciamento e alla mediazione tra diritti, con attenzione al livello concreto delle questioni, si pensi alla presenza del crocifisso nelle scuole. O al caso specifico del crocifisso appeso su richiesta stessa degli alunni, in un Istituto professionale di Stato, ma che un professore rimuoveva ogni volta entrando in aula. Su questo, «la Corte di Cassazione ha stabilito, pronunciandosi nel settembre 2021, che laicità italiana non è neutralizzante; è un concetto inclusivo che riconosce la dimensione religiosa presente nella società e si alimenta del pluralismo delle scelte personali in materia religiosa, garantendo l’uguaglianza di tutti i cittadini che vivono nello spazio pubblico».
Emerge, così, il concetto dell’accomodamento ragionevole che «non è il risultato di un ragionamento a tavolino e si basa sulla cooperazione e sulla presenza di un terzo, tra le parti, imparziale. Non è il regno degli assoluti e richiede immaginazione pratica; non si basa sull’aut-aut delle esenzioni, ma si fonda sull’et-et. È una strada, un metodo, non è un esito dato una volta per tutte. Il compromesso è la verità morale dell’attività politica».
L’Arcivescovo alla Messa: «Sapienza germoglio di rivelazione»
Infine, la conclusione dell’inaugurazione dell’Anno accademico con la tradizionale celebrazione eucaristica nella basilica di San Simpliciano, presieduta dall’Arcivescovo e concelebrata dai sacerdoti docenti e dai Vescovi (vedi qui sotto l’omelia).
Nel richiamo alle letture del giorno, con il Vangelo di Matteo 13, l’Arcivescovo parla delle reazioni dello scandalo «che la libertà, la novità, la autorità inattesa di Gesù causa nelle gente» e dello «stupore che, invece, apre e si entusiasma alla sorpresa». Due reazioni opposte: l’una dettata «dal sospetto, dal rifiuto di quello che non corrisponde agli schemi e ai pregiudizi; la seconda che è risposta all’attrattiva promettente e apre nuove possibilità di vita».
Da questa consapevolezza, la conclusione: «L’Anno accademico che inizia sarà benedetto se non sarà un seguito di adempimenti, di scadenze, di organizzazioni, di burocrazia, ma se questa comunità accademica saprà dimorare dello stupore che studia la sapienza antica e l’inquietudine di oggi come possibili germogli di rivelazione».