Nelle testimonianze degli amministratori locali della Zona III è emersa l’immagine di una realtà civile ricca di iniziative, risorse e sinergie, pur con qualche ombra
di Annamaria
BRACCINI
L’Italia del rancore e quella che dà speranza; i piccoli paesi dove il mercato settimanale è anche un modo per incontrare il Sindaco che “esce” dal Comune per salutare la sua gente e gli amministratori che si lamentano – anche loro – della lentezza della burocrazia, ma che, per esperienza, sanno ormai che la comunità vince solo se fa rete. È una storia con tante vicende e volti, quella che disegnano i 7 Sindaci di altrettante realtà del Lecchese. L’Arcivescovo li ascolta in un luogo simbolo di innovazione qual è il modernissimo Polo territoriale del Politecnico di Lecco, per il secondo incontro con gli amministratori nelle Zone pastorali della Diocesi.
Le testimonianze dei primi cittadini
Aperta dai saluti del prorettore dell’Ateneo Manuela Grecchi e del vicario di Zona monsignor Maurizio Rolla, la serata si gioca in un confronto di esperienze, interrogativi e riflessioni. Il punto di partenza per tutti è il Discorso di Sant’Ambrogio “Per un’arte del buon vicinato”. Un titolo che evidentemente piace a chi, come il sindaco di Pasturo Guido Agostoni, registra una crescita «dell’Italia del rancore nella stessa gente che frequenta le nostre Chiese». Da qui la domanda su «come superare la distanza tra ciò che sta dentro e oltre la porta della parrocchia».
Poi Andrea Massironi (Merate), pur evidenziando che «sono state umiliate le autonomie e le risorse delle amministrazioni locali», racconta della bella sinergia creatasi tra i Sindaci del meratese, «che riunendosi ogni settimana per parlare di problemi comuni, sono riusciti a far modificare le rotte degli aerei diretti a Orio al Serio che transitavano a bassissima quota sopra le nostre case».
Flavio Polano, sindaco di Malgrate e presidente della Provincia, non ha dubbi: «Nell’approccio all’amministrazione locale, oggi c’è una logica da supermarket: “Pago, quindi, ho diritto”. Notiamo un decadimento dei valori e del buon vivere civile. A fronte di questo c’è una ricchezza del territorio data da una co-progettazione che produce atti in ambito ambientale, protocolli sulla gestione dei migranti, la sicurezza e la video sorveglianza, contro la violenza sulle donne. Solo così si riesce a mantenere una buona coesione sociale».
Roberto Ferrari, sindaco di Oggiono e neo deputato, osserva: «Il rapporto diretto con i cittadini è unico e non lo cambierei con altri incarichi, anche quello di parlamentare. Non penso che perderò mai questo “abito” perché spero di vivere ancora tanti momenti come la passeggiata del venerdì al mercato».
Sergio Erculiani viene da Porlezza, il paese più periferico della Diocesi, e nota: «Se la politica agli alti livelli comprendesse il lavoro di noi sindaci, sarebbe molto più facile. Oggi si insiste sui principi politicamente corretti e, spesso, non si affronta la realtà. Non tutto può essere accettato in nome del politicamente corretto». Eppure le buone pratiche esistono, come nel suo paese (5000 abitanti, di cui oltre il 50% non originari del territorio), dove si è elaborato un Piano di finanziamento per il recupero delle chiese parrocchiali per metterle a disposizione dei richiedenti asilo o di persone in difficoltà. Così anche Luca Rigamonti (Monticello) è orgoglioso di aver promosso il protocollo delle Borse sociali Lavoro, sottoscritto dal Comune, dalle Parrocchie e dall’Amministrazione provinciale: «Un progetto apprezzato anche dagli imprenditori, che ha portato alla produzione di 48 cammini di reinserimento, dei quali 26 trasformatisi in lavoro fisso».
Insomma, come sintetizza il conduttore dell’incontro Mauro Gattinoni (direttore dell’Associazione Piccole e Medie Industrie di Lecco), «fare il sindaco è fare buona politica a kilometro zero». E questo anche se il Comune è grande. Virginio Brivio, alla guida del capoluogo lariano e presidente di Anci Lombardia, sottolinea due fenomeni-base quali il cambiamento demografico, con un invecchiamento della popolazione, e la presenza di un’immigrazione inedita, se non nei numeri, nelle modalità: «Fare il sindaco, un tempo, significava governare comunità che avevano un loro orientamento. Oggi dobbiamo contribuire a costruire la comunità, ricordando magari ai cittadini i primi articoli della Costituzione italiana. È più giusto stare in mezzo alla gente, sotto il campanile, o sopra, per guardare un po’ più lontano? Mi sembra che il rischio, se non si trova una giusta conciliazione dei tempi, sia di fermarsi veramente solo al campanilismo».
L’intervento dell’Arcivescovo
«Un vescovo non ha ricette, ma può benedire garantendo che Dio è vicino ed è alleato del bene. Sono venuto per ascoltare le risonanze provocate dal “Discorso alla Città” in persone che, come voi, coltivano il bene comune con dedizione quotidiana. La mia intenzione nel raccomandare il buon vicinato è di spingere tutti a essere protagonisti del gesto minimo, quello che ognuno può fare, appunto, in vista di un bene comune che permetta di vivere insieme», chiarisce subito monsignor Delpini, che aggiunge. «La “legge della decima” indica che esiste un dovere del dare, oltre che il diritto di avere. Non ho risposte, ma mi sembra che questa “arte” – che mi sta molto a cuore – possa mettere d’accordo e indicare la possibile convocazione, anche in ambito amministrativo, degli artisti che, con la loro invenzione e genialità, guardano lontano, e il reclutamento degli artigiani capaci di non fare le cose in serie. Tenendo così insieme lo stare in cima o ai piedi del campanile».
Pur non avendo «soluzioni preconfezionate», un consiglio, chiarissimo, il Vescovo lo vuole dare: «Occorre desiderare un’alleanza tra la Comunità cristiana e la società civile. Non possiamo avere una convivenza parallela perché, anche se siamo diversi, vogliamo tutti il bene della gente. Sarebbe bello che, per iniziativa del Sindaco, si convocasse una sorta di Stati generali in cui il dirigente scolastico, il direttore del Presidio sanitario, della Banca, le forze dell’Ordine si trovino per individuare le priorità da perseguire nel territorio». Una convocazione che il Vescovo definisce «promettente», soprattutto considerando che «affrontare e sconfiggere l’arroganza di chi pretende significa creare appartenenza».
In questa logica, nasce l’auspicio: «Abbiamo bisogno di qualche gesto simbolico, di un forma di prossimità gli uni agli altri, anche del Sindaco ai cittadini, attraverso l’orgoglio di aver fatto qualcosa con una creatività che può essere anche la poesia, l’arte, la bellezza per cui impegnare qualche risorsa». Una scelta realizzabile «in un territorio, come questo, che ha tante possibilità e senza nulla sottrarre ai bisogni più gravi e urgenti».
L’invito è a valorizzare la grande ricchezza «del bene che si fa in queste terre, del volontariato di cura per le persone e il territorio. Come mai abbiamo una presenza così capillare e rilevante di arte del buon vicinato praticato e, invece, un’immagine così problematica? Chiediamoci se si tratti di una lettura obiettiva della realtà. A me pare che non riusciamo sempre a comporre l’ammirazione per il bene che si fa con l’apprensione per il male che registriamo. Dobbiamo imparare a sperare di più, attivando persone, risorse, competenze e incoraggiando il tema della sussidiarietà. Mi piace dirvi che vi sono vicino, non solo con formalità, ma con vera ammirazione per la presenza tra la gente, per il servire il bisogno spicciolo e, nello tempo, per il vostro essere registi di uno sguardo che si sporge verso il futuro».