In Duomo, monsignor Erminio De Scalzi ha presieduto la Celebrazione votiva di san Charbel organizzata anche per ricordare la tragedia dell’esplosione di Beirut dell’agosto scorso

di Annamaria Braccini

messa libano ACJC

Una Celebrazione in Duomo, nel nome del venerato santo libanese san Charbel Makhluf e con negli occhi, ancora, la devastazione dell’esplosione del 4 agosto a Beirut in cui persero la vita 200 persone, 6000 rimasero ferite e 300.000 senza casa.

È la Messa che, presieduta da monsignor Erminio De Scalzi – vescovo ausiliare, vicario episcopale per gli Eventi e gli incarichi speciali – e promossa dalla Comunità cattolica maronita, ha avuto momenti di alta commozione e suggestione, fin dall’inizio del Rito, concelebrato, tra altri sacerdoti, da don Assaad Saad, guida della Comunità di Rito Maronita di Milano e da don Alberto Vitali, responsabile dell’Ufficio per la Pastorale dei Migranti della Diocesi.

Di fronte a tanti fedeli (nel rigido rispetto delle normative anti-Covid), al console generale del Libano, Khali Mohamad, è don Saad a dire subito, con un’evidente commozione nella voce: «Sorelle e fratelli stiamo celebrando da quattro anni la festa di san Charbel nella chiesa di Santa Maria della Sanità», affidata alla Comunità maronita dal 2014.

«Questa Celebrazione ha un aspetto molto speciale per due motivi, perché la celebriamo in Duomo, accolti e abbracciati dalla Chiesa madre di tutti – la Chiesa ambrosiana, nell’antico e solenne Rito ambrosiano – e perché non siamo radunati solo per pregare san Charbel per i nostri cari, ma anche per noi e per il nostro afflitto Paese».

Dopo la lettura del Vangelo di Luca al capitolo 18 – propria della Messa votiva per i santi monaci, secondo il nuovo Lezionario ambrosiano – monsignor De Scalzi avvia la sua omelia.

«Ci uniamo spiritualmente al grande pellegrinaggio che, nei giorni 21 e 22 di ogni mese, vede raccolti in preghiera sulla tomba di san Charbel decine di migliaia di fedeli. La Chiesa ambrosiana, questa sera, desidera esprimere la sua solidarietà all’intero popolo libanese che, anch’esso in balìa della pandemia e nella più grande recessione della sua storia, porta un’indicibile sofferenza per la devastante esplosione avvenuta al porto di Beirut. Ci conforta il pensiero che il Libano è terra abitata da persone che, nel corso della storia, hanno sempre avuto la capacità di rialzarsi dalle enormi difficoltà incontrate, facendo di quel Paese un luogo unico in Medio Oriente, di convivenza delle diversità, di coesione, mai di divisione. I cittadini del Paese dei Cedri hanno ritrovato la loro fede con una loro identità profonda, ma nel contempo, aperta, in dialogo e rispettosa di tutti. La preghiera di questa sera aiuti la comunità libanese a superare questo momento critico e a ripartire, grazie anche all’aiuto di altri Paesi e Istituzioni, ma soprattutto sorretta dalla forza che le viene dalla fede».

Due le sottolineature che nascono dalla figura – veneratissima e rispettata anche dal mondo musulmano – di san Charbel, monaco e taumaturgo, canonizzato da Paolo VI nel 1977.

«Sono stato sulla sua tomba» – nel monastro di Annaya, dove il Santo visse il suo eremitaggio -, evidenzia il vescovo Erminio, che aggiunge. «La prima sottolineatura è l’importanza che, nella sua vita, ha avuto la famiglia di umili origini contadine, di cui era il quinto figlio, ma ricca di fede con la partecipazione alla Messa quotidiana e riunita ogni sera per il Santo Rosario. Ancora oggi la devozione a Maria è fortissima nel popolo libanese che la invoca come Regina del Libano. La prima scuola di santità per San Charbel è stata la sua famiglia dove ha ricevuto la sua educazione umana ad cristiana».

«Mi sono convinto che nessun sapienza pedagogica potrà mai sostituire quella proveniente dall’ amore autentico e intelligente di un padre e una madre. Domandiamoci da chi abbiamo imparato i primi passi e i gesti della fede. Credo che i genitori debbano ritrovare il coraggio di trasmettere la vita, le ragioni che la rendono bella e degna di essere vissuta».

Tra queste ragioni, appunto, la fede

Da qui, l’auspicio: «Comunità cattolica maronita di Milano, custodisci la fede delle tue famiglie».

E, ancora: «il silenzio, la solitudine che sono stati il segreto della sua santità. Oggi i ritmi sono talmente incessanti che ci fanno dimenticare quell’arte della cura di noi stessi e della nostra interiorità che sono essenziali per sapere chi siamo e perché facciamo quello che facciamo. La nostra interiorità ci permette di sfuggire alla superficialità, di dare profondità alle nostre parole, senso alle relazioni, e primariamente, alla nostra relazione con Dio. Nella preghiera san Charbel ci invita a conquistarci spazi di solitudine e tempi di silenzio che ci aiutino ad ascoltare ciò che abita nel profondo di noi stessi e a sondare le profondità del Mistero di Dio. Solo lì diventiamo più umani».

Poi, come detto, tanti momenti di commozione: il Padre Nostro recitato in lingua aramaica – la lingua di Gesù -, il canto tipico della tradizione per san Charbel, che risuona tra le navate, alla comunione e il ringraziamento finale di don Saad. «Chiesa dalle genti o Chiesa madre di tutti, come mi piace chiamarla, non è uno slogan, è la realtà che sperimento nella nostra Chiesa ambrosiana. Dal primo momento mi sono sentito avvolto dalla solidarietà dei figli di questa terra santa, dal Vescovo, dai fedeli e da chi nemmeno ci conosce. Ci avete accolto come figli e anche questa Celebrazione è un segno forte e tangibile. In nome della Chiesa maronita e del mio Paese, vi ringrazio. Viviamo in questi giorni neri una sofferenza inaudita, vi ringraziano per tutto il vostro supporto spirituale e materiale, per poter uscire dall’inferno in cui siamo stati immersi dell’incendio di Beirut».

Infine, l’incensazione della reliquia, un frammento osseo del Santo custodita nel reliquiario di argento a forma di cedro del Libano con cui il vescovo monsignor De Scalzi impartisce la benedizione ai fedeli.

Un’immagine del monaco venerato e un piccolo contenitore di olio e di incenso (i suoi strumenti taumaturgici, secondo la tradizione) vengono consegnati, a conclusione, cosi come si usa nella festa liturgica del Santo.

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