L’Arcivescovo ha assistito alla Celebrazione solenne per la festa liturgica di san Charbel nella chiesa di Santa Maria della Sanità a Milano, affidata dalla Diocesi alla Comunità cattolica libanese di Rito Maronita
di Annamaria
Braccini
«Benvenuti a vedere la bellezza straordinaria di questa festa nata spontaneamente da voi fedeli 4 anni fa. Quello che rende quest’anno la Celebrazione per san Charbel molto speciale sono la presenza e la benedizione dell’Arcivescovo di Milano: una grande gioia e un grande onore».
Sono queste le parole calorose con cui don Assaad Saad, guida della Comunità libanese di rito Maronita accoglie l’Arcivescovo nella chiesa milanese di Santa Maria della Sanità affidata, appunto a tale Comunità, dalla Diocesi.
Alla Messa, celebrata in arabo, italiano e, al momento della consacrazione, in aramaico (la lingua parlata da Gesù), assiste, infatti, l’Arcivescovo cui sono accanto il vescovo Monsignor Francesco Brugnaro e altri sacerdoti tra cui don Augusto Casolo in rappresentanza della Comunità Pastorale dei Santi Profeti nel cui territorio si trova “Santa Maria della Sanità”.
Molte centinaia i fedeli presenti provenienti dall’intera Lombardia – in prima fila siede il console generale, Walid Haidar – riuniti per un’occasione certamente solenne come la memoria liturgica di san Charbel Makhluf, monaco taumaturgo libanese del XIX secolo, beatificato il 5 dicembre 1965 e, poi, canonizzato, il 9 ottobre 1977, da Paolo VI.
I gesti antichi del rito della Chiesa Maronita, nata nel IV secolo dalla comunità sorta attorno al monaco Maroun (san Marone) ad Antiochia, da sempre unita alla Chiesa di Roma, animano la Celebrazione nella quale la riflessione è pronunciata dall’Arcivescovo che prende avvio dall’espressione “Alcuni testimoni riferirono di aver visto una luce abbagliante uscire dalla tomba di san Charbel”.
L’omelia dell’Arcivescovo
«La luce visibile è immagine di quello splendore che abita il cuore dei santi, che si accende nella santa liturgia, che accompagna il cammino dei credenti. Celebriamo la festa di san Charbel, uomo trasfigurato in luce e preghiamo che interceda per noi, perché anche noi siamo avvolti dalla luce».
Ed è proprio questa luce che porta e fa vivere ognuno nella preghiera che, per l’intera vita eremitica del Santo libanese, fu continua.
«Nella vita dedicata alla preghiera tutto l’essere umano si immerge nella sua profondità, entra nel suo intimo. Nella preghiera la luce di Dio visita gli angoli oscuri delle passioni e vi depone la luce che trasforma le passioni in amore appassionato. La luce di Dio entra nel groviglio complicato delle domande del pensiero e vi depone la luce della verità semplice e buona della Santissima Trinità. La luce di Dio percorre i sentieri della memoria, dei giorni della desolazione e della umiliazione e vi semina il perdono, fruttifica in riconciliazione. La luce di Dio avvolge le relazioni con i fratelli e le sorelle, quelle affettuose e gratificanti e quelle difficili e frustranti, e rende possibile la benevolenza, la mitezza e la pazienza».
Dunque, quella luce e preghiera che alimentano la speranza. «Dalla vita e dalla morte di san Charbel si irradia una luce che continua a rassicurare con la speranza. La nostra incertezza, il sospetto di essere abbandonati da Dio, l’enigma inspiegabile della sofferenza dei santi e della vita gaudente dei peccatori, l’annunciarsi irresistibile della morte, hanno bisogno di luce perché noi continuiamo a sperare, a professare la fede, ad abitare nella gioia».
Una luce di pace – questa – da invocare nei tanti giorni bui dell’umanità di ogni tempo. «Invochiamo la luce che ci aiuti ad essere gente di pace, anche nei momenti in cui sembra inevitabile dare sfogo all’esasperazione, anche nelle terre dove sembra che la zizzania abbia invaso tutto il campo. La pace è un frutto di quella luce che non si lascia spegnere dall’impazienza e lascia a Dio il giudizio. La santità di San Charbel è dono di riconciliazione per il suo popolo; la sua intercessione ha ottenuto al suo popolo di essere un popolo che ama la pace, anche là dove si vive tra le guerre, laddove ci sono ingiuste prepotenze e dove la minaccia è sempre incombente. La luce che invochiamo ci aiuti a leggere la storia come attesa che si compia la volontà di Dio, abitando le vicende umane come gente che costruisce la pace».
Poi, la benedizione dell’acqua – molti i fedeli che portano ampolle e bottiglie dalle loro case – la Liturgia Eucaristica e la processione all’interno della Chiesa con la statua lignea del Santo che viene incensata dal Celebrante. Infine la benedizione dell’Arcivescovo che porta tra le mani una reliquia di san Charbel.
Un’immagine concreta della Chiesa dalle genti, come sottolinea al termine, don Saad richiamando il Sinodo Minore diocesano e parlando di “Santa Maria della Sanità” come di «un’oasi che raccoglie – anche per l’uso della lingua araba – diversi fedeli del Mediooriente che vivono a Milano e in Lombardia: libanesi, siriani, giordani, iracheni, i Maroniti cattolici, i Caldei, ma anche i Copti, i Melchiti. Sentiamo la bellezza dell’unità nella diversità e di essere un piccolo laboratorio del Sinodo».
Il dono della Comunità all’Arcivescovo – un reliquiario riproducente l’albero del Cedro, simbolo del Libano, contenente una reliquia del Santo – e la tradizionale benedizione sulla fronte dei presenti con l’olio benedetto giunto dal Libano concludono, prima di un affollatissimo momento conviviale, una mattina piena di sole e di festa.