Nella basilica di Sant’Ambrogio, un gran numero di giovani che si preparano al matrimonio ha partecipato all’incontro che ha visto la presenza e la riflessione dell’Arcivescovo. «Gestite i conflitti, curate la qualità della conversazione e sappiate sempre trovare un equilibrio tra gli impegni e la vita interna della coppia»
di Annamaria
BRACCINI
L’accoglienza nella basilica di Sant’Ambrogio, alla quale danno voce i responsabili del Servizio diocesano per la Famiglia – don Luciano Andriolo e i coniugi Michela Tufigno e il diacono Luigi Magni – è calda e gioiosa. Come ben si conviene all’incontro che riunisce i fidanzati e coloro che si preparano a ricevere il sacramento del matrimonio, arrivati dalle diverse Zone della nostra Chiesa per ascoltare l’Arcivescovo.
Due i simboli che guidano l’atteso appuntamento annuale, il sale e la luce, che ritornano nella lettura iniziale di un brano della Lettera alla Diocesi di monsignor Delpini e nel quinto capitolo del Vangelo di Matteo. «Il sale che è necessario per l’esistenza di ogni uomo e per la relazione; sale come elemento generoso che si scioglie in un altro alimento, ma guai ad abusarne», spiega Tufigno.
Poi è subito il Vescovo Mario che offre ai giovani, come spunto di riflessione, tre lettere da lui scritte e consegnate ai partecipanti, immaginando sei figure di prossimi sposi. «Quelle lettere d’amore che voi magari non scrivete più perché avete altri strumenti», nota.
Si parte con Filotea ed Eusebio, e già i nomi che, in greco, significano “Colei che ama Dio” e “Pio, Religioso”, sono un indizio.
“Eusebio del mio cuore, ci siamo lasciati proprio male stasera e non riesco ad addormentarmi senza mandarti un pensiero di pace. Io sono rimasta male quando ti sei messo a discutere con mio papà con quel tono aggressivo che ti rende così antipatico. La mamma aveva preparato la sua specialità e si aspettava forse qualche complimento in più, ma lasciamo perdere. Ma poi quando si è cominciato a parlare di politica e di come era prima e di come è adesso, non so perché i toni sono diventati così aspri e i giudizi così perentori».
Da qui la tristezza che, tuttavia, non può sottrarre Filotea a un saluto serale d’amore, pur nella convinzione che sia necessario controllare le proprie reazioni.
Questo anche il consiglio dell’Arcivescovo: «Le grazie ricevute nella nostra vita cristiana e in un amore che fa diventare migliori perché si desidera dare gioia all’altro, possono essere rovinate da un temperamento che non si custodisce. I conflitti fanno parte della vita, ma come si fa essere comunque pieni di sapore se non impariamo a gestirli? Dunque, riflettete sull’arte di vivere il quotidiano tenendo accesa la luce e sapido il sale».
Dal primo tema «della coltivazione dei valori e della gestione dei conflitti che li compromettono», si passa al secondo, attraverso il giovane medico Timoteo – “Colui che teme Dio” – che scrive a Sofia, la “Sapienza”, mentre lavora a Chirundu in Africa.
Oppresso dal caldo e dai discorsi banali e consueti dei colleghi, Timoteo si sente solo, ricordando con nostalgia la fidanzata, «perché parlare con te mi costringe a essere poeta, filosofo, storico e sognatore. Ti immagini che vita sarebbe se i nostri discorsi fossero sempre su piastrelle e antifurti? Che vita insipida. Ti prego continua almeno a mandarmi una frase al giorno».
Evidente lo scopo dell’Arcivescovo nell’incoraggiare a tenere viva la qualità della conversazione in modo che lo stare insieme renda migliori. «E questo, anche senza fare discorsi filosofici, per dare sapore alla vita di coppia e alla vita di società, evitando che tutto finisca nella banalità di parole pronunciate solo per sfuggire al silenzio». Un’attenzione irrinunciabile perché, «almeno nelle intenzioni, ogni giorno arricchisca l’altro, sfidando noi per primi».
E, ancora, Don Paolo (chiaramente un alter ego dello stesso Vescovo) che scrive a Dorotea e Teodoro (il cui nome vuol dire, per entrambi, “Dono di Dio”).
Teodoro che è l’anima della Caritas parrocchiale e che non ha mai una sera libera e Dorotea, la catechista che, presa dai preparativi del matrimonio, non si vede più nella comunità. Chiaro il rischio di non trovare la giusta armonia nella gestione dei tempi e degli affetti, «vivendo la tensione tra gli impegni e il rinchiudersi in casa propria».
E appunto questo è il monito: «Trovare, o ritrovare, un equilibrio tra la partecipazione alla vita ecclesiale e quella di coppia». Anche perché, sottolinea l’Arcivescovo, «spesso non si mette a tema il dialogo su questioni fondamentali, come l’educazione dei figli, i rapporti interni ed esterni agli sposi. La condivisone di intenzioni che riguardano cose essenziali e quotidiane, capire se si è d’accordo, tiene vivo l’amore e non lo rende un ricordo sterile del passato. E, al contrario, una coppia che ha tempo solo per se stessa, viene meno anche al suo ruolo di appartenenza alla più ampia comunità ecclesiale e civile».
Infine, a suggellare l’incontro sono la benedizione delle coppie ̶ “sentitevi, nei giorni facili e difficili che verranno, sempre benedetti e amati da Dio» – e la condivisione di esperienze e pensieri nati dalla riflessione appena proposta.