In piazza San Pietro papa Francesco ha presieduto la Messa con il Rito di Canonizzazione di Paolo VI e di altri sei nuovi Santi
di Annamaria
Braccini
Il volto dallo sguardo profondo e buono che colpisce immediatamente, anche solo osservando lo stendardo posto al centro della facciata di San Pietro; le tante immagini che i 2500 pellegrini ambrosiani portano con loro; gli striscioni mostrati con orgoglio, l’entusiasmo contagioso raccontano – prima ancora dell’inizio della Celebrazione eucaristica con il rito dell Canonizzazione – la fama di santità che circonda Giovanni Battista Montini. Nell’immensa piazza abbracciata dal porticato del Bernini, cuore della cristianità, è un incrociarsi, fin dalla prima mattina, di etnie, vesti tradizionali, lingue, colori e bandiere. Infatti, i 7 nuovi Santi, tra cui, appunto, Paolo VI, provengono da diverse parti del mondo e, così, è per le migliaia di fedeli giunti anche da lontanissimo. Oltre al bresciano di nascita Montini, ci sono il martire Óscar Arnulfo Romero Galdámes, arcivescovo di San Salvador, trucidato sull’altare il 24 marzo 1980 mentre celebrava Messa, il sacerdote Francesco Spinelli, originario di Milano, fondatore dell’Istituto delle Suore Adoratrici del Santissimo Sacramento, presenti con numerose Comunità in Diocesi, il sacerdote Francesco Romano, la tedesca Maria Caterina Kasper, fondatrice dell’Istituto delle Povere Ancelle di Gesù Cristo, Nazaria Ignazia di Santa Teresa di Gesù March Mesa – spagnola, ma vissuta a lungo in America Latina -, fondatrice della Congregazione delle Suore Misioneras Cruzadas de la Iglesia e, infine, un laico, l’abruzzese Nunzio Sulprizio morto a soli 19 anni dopo aver dedicato tutta la sua breve e dolorosa vita a Dio.
Un mosaico di esistenze diverse, di esperienze vissute al vertice o alla base della Chiesa, ma tutte riunite dal filo rosso della fede, del martirio, della pazienza o cruento e dal filo d’oro di una speranza capace di disegnare concretamente un mondo migliore soprattutto per i più poveri.
Alle 10.15 entra, in processione, il Papa che presiede l’Eucaristia: più di 100 i Cardinali, 300 i Vescovi e Arcivescovi che concelebrano, tra cui monsignor Mario Delpini come Pastore ambrosiano e Metropolita della Regione Ecclesiastica Lombarda. 3000 i sacerdoti, anch’essi concelebranti.
Moltissime le autorità, tra cui la regina madre di Spegna, Sofia, accanto ai presidenti delle Repubbliche di El Salvador, Cile, Panama e al presidente Sergio Mattarella. C’è anche il ministro della Cultura, Alberto Bonisoli, tanti sindaci e rappresentanti delle Istituzioni sul territorio. Per Milano, è presente la vicesindaco Anna Scavuzzo e, per la Regione Lombardia, l’assessore Raffaele Cattaneo. Non mancano, nelle prime file, delegazioni ufficiali di vari Paesi e personalità del mondo politico e della società civile di molte nazionalità. Scelte significative per le quali il Papa ringrazia, rivolgendo «un pensiero speciale, con viva gratitudine, a Sua grazia Rowan Williams» – arcivescovo emerito di Canterbury – e alla delegazione Anglicana.
La Celebrazione
La “Petitio” (con cui viene chiesto che si proceda alla Canonizzazione) e le brevi biografie dei 7 beati che divengono santi, lette dal Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, il cardinale Giovanni Angelo Becciu, precedono le Litanie dei Santi. Quando il Papa dà lettura della Formula di Canonizzazione, si alza subito un primo applauso.
Le Letture liturgiche, proposte in diverse lingue, e il Vangelo, cantato in latino dal nostro diacono, Paolo Invernizzi, introducono l’omelia del Papa che indossa la Stola, l’Anello del Pescatore, la Croce pettorale, il Pallio, (conservato in Duomo perché donato alla Cattedrale dal segretario di Montini, monsignor Macchi) e la Croce pastorale di Paolo VI, mentre l’Amitto, il Camice e il Cingolo appartennero a monsignor Romero.
L’Omelia del Papa
Sulle figure dei nuovi Santi e dalla testimonianza credibile e affidabile da loro donata, si sofferma la riflessione del Santo Padre. L’invito è a fare la scelta coraggiosa di rischiare per seguire il Signore con gioia. «L’ha fatto Paolo VI, sull’esempio dell’Apostolo del quale assunse il nome. Come lui ha speso la vita per il Vangelo di Cristo, valicando nuovi confini e facendosi suo testimone nell’annuncio e nel dialogo, profeta di una Chiesa estroversa che guarda ai lontani e si prende cura dei poveri. Paolo VI, anche nella fatica e in mezzo alle incomprensioni, ha testimoniato in modo appassionato la bellezza e la gioia di seguire Gesù totalmente. Oggi ci esorta ancora, insieme al Concilio, di cui è stato il sapiente timoniere, a vivere la nostra comune vocazione: la vocazione universale alla santità. Non alle mezze misure, ma alla santità. È bello che insieme a lui e agli altri Santi e Sante odierni ci sia monsignor Romero, che ha lasciato le sicurezze del mondo, persino la propria incolumità, per dare la vita secondo il Vangelo, vicino ai poveri e alla sua gente, col cuore calamitato da Gesù e dai fratelli».
Una consegna chiara e scandita, quella di papa Francesco. che ha riferimento al brano del Vangelo di Marco al capitolo 10, con l’incontro tra Gesù e l’uomo ricco (e rattristato…) al quale il Signore dice “Seguimi!”, ma solo se venderà i suoi beni.
Una bella lezione per l’oggi: «Non si può seguire veramente Gesù quando si è zavorrati dalle cose. Perché, se il cuore è affollato di beni, non ci sarà spazio per il Signore, che diventerà una cosa tra le altre. Per questo la ricchezza è pericolosa e – dice Gesù – rende difficile persino salvarsi. Il nostro troppo avere, il nostro troppo volere ci soffocano il cuore e ci rendono incapaci di amare: dove si mettono al centro i soldi non c’è posto per Dio e non c’è posto neanche per l’uomo».
Che fare, allora? Seguire la strada già percorsa dai Santi: «Lasciare ricchezze, nostalgie di ruoli e poteri,strutture non più adeguate all’annuncio del Vangelo, i pesi che frenano la missione, i lacci che ci legano al mondo». Insomma, fare un vero salto in avanti superando l’«autocompiacimento egocentrico» e la gioia che si cerca in qualche piacere passeggero, altrimenti «ci si rinchiude nel chiacchiericcio sterile, ci si adagia nella monotonia di una vita cristiana senza slancio, dove un po’ di narcisismo copre la tristezza di rimanere incompiuti».