Il Vescovo maronita di Batroun porterà la sua testimonianza alle 21 nella Sala capitolare della parrocchia di San Lorenzo. L'abbiamo intervistato
di Luisa
Bove
Il dramma dei rifugiati siriani in Libano e il rapporto tra la Chiesa libanese e il mondo islamico sono al centro della testimonianza che monsignor Mounir Khairallah, Vescovo maronita di Batroun, porterà lunedì 27 maggio, alle 21, presso la Sala capitolare della parrocchia di San Lorenzo in Monluè (via Monluè 87, Milano). La serata, dal titolo «Libano, terra di accoglienza e dialogo», è promossa dalle parrocchie di San Nicolao della Flue e San Lorenzo in Monluè.
Per descrivere il suo Paese, il Vescovo di Batroun ricorda espressioni di Giovanni Paolo («Paese-messaggio nella libertà, nella democrazia e nel rispetto delle diversità religiose, confessionali e culturali») e di Benedetto XVI («Paese modello»). «Il Libano – spiega – è diventato il “Paese delle libertà”, il “Paese rifugio” per i popoli e le comunità perseguitate, cristiani e musulmani, in tutto il Medio Oriente». Oggi il Libano è composto da 18 comunità: 12 cristiane, 5 musulmane e una ebraica: «Non si può dunque parlare di maggioranza e minoranza, perché queste comunità vivono insieme nella libertà e nel rispetto delle diversità».
C’è dunque una buona convivenza?
Tutti i popoli accolti dal Libano si sono integrati senza problemi. I palestinesi, che sono stati cacciati dalla loro terra con la promessa dei Paesi arabi e occidentali di ritornare nel giro di qualche mese o qualche anno, non venivano accolti da nessun Paese, nemmeno quelli arabi, tranne la Giordania, che ha dovuto accogliere per la vicinanza. Il Libano (che contava due milioni di abitanti) ha accolto nel 1948 trecento mila palestinesi che avevano una sola idea e una sola meta: tornare nella loro terra secondo le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu e dell’Assemblea generale, facendo la guerra a Israele che rifiutava – e rifiuta tutt’ora – di applicare quelle risoluzioni. Il Libano li ha accolti nei campi profughi installati nel centro delle grandi città: tre a Beirut, uno a Saida, uno a Tripoli, uno a Tiro… I profughi palestinesi, con il passare degli anni, hanno trasformato i loro campi in caserme super-armate dai Paesi arabi e europei, al di fuori della legalità. In seguito sono usciti e hanno cominciato ad attaccare il territorio d’Israele, ma anche a imporre con le armi la loro prepotenza ai libanesi in quasi tutto il territorio.
Negli ultimi il Libano ha accolto anche i profughi siriani…
Nel 2011 scoppiò la guerra in Siria sotto il pretesto della Primavera araba (dopo Tunisia, Egitto, Libia…). Centinaia di migliaia di siriani lasciarono il Paese, rifugiandosi soprattutto in quelli limitrofi: Giordania (600 mila), Turchia (tre milioni) e Libano (1.700.000, per un totale di 4.500.000 abitanti). Bisogna considerare però che i soldati siriani lasciavano il Libano dopo averlo occupato per 29 anni. I libanesi, che in passato avevano sopportato l’occupazione e avevano sofferto martirio, prigionia, esilio, distruzione, dovevano ora accogliere più di un milione e mezzo di profughi siriani, equivalente a 20 milioni per l’Italia; ai quali bisogna aggiungere 600 mila palestinesi in attesa di tornare nella loro terra. Nonostante questa amara realtà, i libanesi hanno accolto i siriani, ma non in campi profughi, ricordando la triste esperienza dei palestinesi.
Quindi come sono stati ospitati?
La Chiesa del Libano, soprattutto attraverso la Caritas e le associazioni, ha fatto tanti sacrifici per accogliere dignitosamente i profughi. Le comunità musulmane pure. Il governo libanese ha messo a disposizione dei profughi le amministrazioni e i servizi pubblici: scuole, ospedali e in particolarmente i servizi del Ministero degli Affari sociali in tutte le regioni. I Paesi occidentali, temendo che i profughi arrivassero fino a loro, come nel 2015, hanno promesso al Libano aiuti per sostenere l’accoglienza dei profughi; ma dei miliardi promessi arrivano solo pochi milioni. Ma quello che fa paura a noi libanesi è che i profughi non ritornino in Siria. In tutti gli incontri internazionali o all’Onu il governo libanese esige il riconoscimento del diritto di ritorno dei profughi siriani nel loro Paese e l’instaurazione di una pace giusta e durevole. L’Europa e gli Stati Uniti vorrebbero legare questo ritorno al cambiamento di regime in Siria, ma ciò non è accaduto.
E il Libano come reagisce?
Il Libano potrebbe aspettare. Ma fino a quando? Nessuno lo dice. Nel frattempo i profughi sono bene installati in Libano e ci rimarranno. Chiesa e governo libanesi chiedono a tutte le grandi potenze di aiutare a mettere fine alla guerra in Siria e negli altri Paesi del Medio Oriente, di indirizzare gli aiuti internazionali ai profughi siriani che ritornano nella loro terra per ricostruire le loro case, i loro negozi, le loro scuole, invece di aiutarli a rimanere in Libano.
Qual è invece il rapporto tra Chiesa e islam?
In Libano i cristiani e i musulmani vivono insieme da secoli nella pace e nel rispetto reciproco delle loro convinzioni ed espressioni di fede nel Dio unico. I cristiani hanno svolto un ruolo decisivo nella Nahda araba, il Rinascimento del XIX secolo e i musulmani sono tuttora riconoscenti ai loro fratelli e connazionali cristiani per tutto quello che hanno apportato. Mandano i loro figli e figlie nelle nostre scuole cristiane «per i valori umani che le scuole cristiane trasmettono nell’educazione», come dicono loro. In particolare il perdono, la carità, l’apertura di mente, la solidarietà umana, l’unità della famiglia nel senso largo e del nucleo familiare, la libertà di pensiero e di espressione… Tutto questo, i musulmani vogliono impararlo dai cristiani.