A Casa Betania delle Beatitudini si è aperta ufficialmente la fase diocesana della Causa di beatificazione e canonizzazione del frate camilliano. Nella sua riflessione l’Arcivescovo ha ricordato lo stile del religioso: sintesi esemplare di preghiera e carità

di Annamaria BRACCINI

Fratel Ettore processo beatificazione

«Vogliamo che siano riconosciute le virtù eroiche di Fratel Ettore, non per metterlo sul piedistallo, ma perché risvegli in noi la consapevolezza che il bene è praticabile da tutti».
L’Arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini, dice questo ai moltissimi che si affollano nella cappella di “Casa Betania delle Beatitudini” di Seveso. E non può che essere così per un momento atteso da tanta gente: l’apertura ufficiale della Fase diocesana del Processo di Beatificazione e Canonizzazione di Fratel Ettore Boschini, il religioso camilliano che seppe incarnare uno dei più alti carismi di carità degli ultimi decenni.
A presiedere la prima Sessione del Processo diocesano ̶ atto giuridico che è insieme formale e umanissimo nella preghiera e nel ricordo ̶, è appunto l’Arcivescovo cui sono accanto, per il giuramento dell’apertura, il delegato arcivescovile, monsignor Ennio Apeciti, anche responsabile del Servizio per le Cause dei Santi della Diocesi, il promotore di giustizia, don Marco Gianola, il notaio attuario, don Simone Lucca e la postulatrice, la storica Francesca Consolini
Insieme ad alcuni parenti di Boschini, agli ospiti, ai volontari, ai benefattori, alle emozionantissime sorelle che portano avanti l’opera a “Casa Betania” e in altre realtà, trovano posto alcuni religiosi Camilliani, tra cui padre Vittorio Paleari che, quale provinciale della Congregazione, diede primo inizio al cammino della Causa, padre Bruno Nespoli, attualmente alla guida della Provincia nord italiana, padre Giuseppe Rigamonti viceprovinciale e superiore della Clinica San Camillo. Vicino a loro anche il vicario episcopale per la Vita Consacrata maschile, monsignor Paolo Martinelli, il vicario episcopale della Zona pastorale V, monsignor Patrizio Garascia, sacerdoti della Diocesi. Due i sindaci: Paolo Butti di Seveso che richiama lo stimolo rappresentato dalla presenza sul territorio dell’Opera per l’intera società civile di Seveso stesso e per la sua capacità di impegno; Antonella Annibaletti, prima cittadina di Roverbella, il piccolo comune nel mantovano dove Fratel Ettore nacque nel 1928, che parla di «giusto tributo a una persona che ha fatto tanto».

La riflessione dell’Arcivescovo

«Al contrario delle favole che aiutano i bimbi a prendere sonno, le storie dei Santi si raccontano agli adulti per farli svegliare, per destare lo stupore, la meraviglia, l’entusiasmo, la sorpresa per quello che Dio può fare servendosi di uomini e donne che sono come noi», dice, nella sua riflessione, il Vescovo, che aggiunge: «Più conosco le Comunità e più rimango meravigliato delle opere di bene che si fanno».
«La dedizione al bene, che non passa oltre se c’è un bisogno, è di tutti. Nonostante il male che si dice del nostro tempo, la storia dei Santi è la storia di ognuno. Dunque, la Causa è un modo per vedere come l’intenzione di Dio di incoraggiarci, è resa più affascinante perché uno tra i tanti che fanno il bene, viene ricordato come figura esemplare. Questo momento, nel quale inauguriamo ufficialmente il Processo, è, infatti, un modo con cui Dio vuole svegliarci, mostrando come sia praticabile il bene. Certo, i Santi praticano le virtù in grado eroico, ma vogliamo che quelle di Fratel Ettore siano riconosciute non per metterlo su un piedistallo, ma perché sia di sprone».
«La genialità del santo è di aprire una strada su cui possiamo incamminarci. Ecco perché è importante che i riflettori si fissino su qualcuno dei molti che compiono il bene, per indicare la strada a tutti, dimostrando il bene è sempre possibile per rendere più vivibile la terra».
Poi, il pensiero va alla figura di Boschini «che suscita attenzione e simpatia», anche in chi non lo ha conosciuto personalmente, proprio perché il suo farsi prossimo ha permesso di intuire uno stile. «Fratel Ettore ricorda la praticabilità del bene con una particolare sottolineatura che è un appello a convertirci sapendo che la sorgente della carità è l’amore di Dio e la preghiera è una necessità assoluta per chi fa il bene».
È questa sintesi tra preghiera e carità che deve guidare ognuno, per Delpini, «perché dice che nel cuore di ciascuno c’é una naturale inclinazione a fare del bene, ma se non c’è un radicamento nella preghiera, la carità finisce per essere segnata da provvisorietà e da uno stile in cui l’opera diventa più importante della persona, la fatica di essere perseverati stanca l’amore. Fissiamo l’attenzione su un uomo esemplare per essere consapevoli che possiamo cogliere i suoi tratti essenziali e seguirne l’insegnamento».
Infine, dopo la Lettura del Verbale di questa prima Sessione pubblica del Processo, con i giuramenti di rito, il canto del Magnificat, la lettura di un brano del testamento di san Camillo de Lellis e la recita corale della Preghiera per ottenere la beatificazione di Fratel Ettore, presso la sua tomba, suggellano il pomeriggio, ormai al tramonto.
“Casa Betania” vede, oggi, la presenza fissa di 40 persone – molti i malti gravi e di mente ̶ , oltre 40 famiglie aiutate sul territorio e una struttura per padri separati. Accoglie, inoltre, dopo l’appello del Papa e del cardinale Scola per l’accoglienza diffusa, alcuni ragazzi del Bangladesh. L’Opera, inoltre, gestisce una mensa sempre aperta, che registra 60-70 unità giornalmente assistite; il grande dormitorio per uomini e donne “Villaggio della Misericordia” ad Affori; una piccola Casa di Esercizi Spirituali “Nostra Signora di Loreto” a Bucchianico, e ha aperto una Casa in Colombia.

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