Nel 35esimo della Fondazione, la Celebrazione eucaristica presieduta dall’Arcivescovo nella basilica di Sant’Ambrogio, è stato il momento centrale del 31° Capitolo di tutte le realtà Exodus. Nella chiesa gremita, presente anche il sindaco di Milano Giuseppe Sala, ha concelebrato il fondatore don Mazzi
di Annamaria
Braccini
«Per noi questa sera non sei l’Arcivescovo, ma il Pastore del Vangelo che va a cercare la pecora smarrita. Questa volta siamo noi tutti – le pecorelle perdute – che veniamo a cercarti; questa Messa esprime anche il ritrovamento e la gioia del Pastore padre che ritrova i figli che hanno sbagliato tanto. Tra noi gli errori ci sono tutti, anche i più gravi, come gli omicidi. Lo dico da prete: stasera ritrovo le pecorelle che sono tornate, ma ancora tante sono da cercare perché si sono perse».
Bastano le parole di accoglienza di don Antonio Mazzi, fondatore della Fondazione Exodus, per dire, a 360°, cosa sia l’emozione che centinaia e centinaia di ragazzi, di ex giovani ormai adulti, di volontari, cooperatori, educatori, intere famiglie, sentono nel festeggiare, appunto, con il vescovo Mario, il 35esimo della Fondazione nella gremitissima basilica di Sant’Ambrogio, in cui arriva anche il sindaco di Milano Giuseppe Sala. Sarà lui, a margine con i giornalisti, «Don Mazzi incarna lo spirito di Milano; pensare alto ma con i piedi per terra. A lui va la mia riconoscenza».
É il 35esimo della Fondazione (40 i suoi Centri sull’intero territorio nazionale) che, in “Sant’Ambrogio”, vive il momento centrale del 31° Capitolo di tutte le realtà Exodus, che si tiene nella storica sede del Parco Lambro fino al 29 settembre e che si concluderà con il Convegno dal titolo, “Ragazzi fuori serie. Adolescenti educazione scuola”.
Nella Basilica amata, quasi più del Duomo, come cornice splendida della Celebrazione eucaristica, proprio perché il Santo patrono fu Pastore, il saluto iniziale di don Mazzi, come dice anche l’Arcivescovo, dà davvero «il tono e lo Spirito di questo incontro, perché nessuno vi ha chiesto – nota, rivolgendosi direttamente ai presenti – “chi sei o cosa hai fatto”. La Chiesa è così, è una casa con le porte aperte dove si fa festa e dove tutti si devono sentirsi a casa loro. Noi siamo un’insieme: il nome è Exodus, perché tutti siamo in cammino verso la terra promessa. Sono contento di celebrare questa Eucaristia con don Antonio che ci ha accompagnato in tutti questi anni come un mito e una persona carismatica».
Accanto al Vescovo siedono l’abate di “Sant’Ambrogio”, monsignor Carlo Faccendini e, naturalmente, don Mazzi; concelebrano diversi sacerdoti tra cui Miguel Tofful, casante dell’Opera don Calabria (cui appartiene il fondatore di Exodus).
Bella e allusiva la riflessione rivolta a tutti dall’Arcivescovo.
L’omelia dell’Arcivescovo
«Alcuni pensano che la qualità della vita dipenda dal passato, da quello che c’è stato prima: “se hai fatto del bene, sei buono; se vieni da una famiglia ricca e benestante, hai quello che vuoi, se hai fatto del male, stai male, se hai fatto degli sbagli nella vita ne porti il peso”».
«Alcuni pensano che la qualità della vita dipenda dalle condizioni presenti: dalla salute, dalla compagnia, dall’ambiente in cui ci si trova: “Chi sta bene vive bene, chi è malato vive male; chi si trova a vivere in un contesto ostile e in un ambiente inquinato vive male”. In un certo senso, questo è ovvio perché la buona salute, la gente benevola o l’ambiente inquinato condizionano lo stato d’animo e la qualità della vita».
Eppure la speranza cristiana è altrove e altro. «Non è la previsione di qualche cosa che avverrà. Il futuro può essere desiderabile, o mai chiuso, secondo quanto ciascuno può immaginarsi, prevedere o programmare».
Il riferimento è alla II Lettera di Pietro, appena proclamata tra le navate, che «secondo la mentalità del suo tempo prevede distruzioni e, forse, anche nel nostro tempo sono diffuse previsioni catastrofiche. La nostra speranza si fonda, invece, sulla promessa di Dio che annuncia cieli nuovi e una terra nuova nei quali abitano giustizia. Il Signore ci salva con la sua magnanimità e la sua promessa alimenta un’adesione piena di consolazione. Nel passato non c’è niente di irrimediabile perché tutto può essere perdonato. La speranza, suscitata dalla promessa di Dio, è un motivo per vivere il presente e uno sguardo che si rivolge al futuro come giorno di Dio. Il passato è salvato, il presente è salvato. La situazione è occasione, cioè è il tempo adatto per decidere. Ciascuno può essere il protagonista della propria vita, che sia sano o malato, che sia nella Comunità o fuori. Tu puoi scegliere il bene».
Poi, il messaggio per il Capitolo. «Questo luogo caro ai milanesi e la Parola che abbiamo ascoltato dicono che Dio salva il passato perché lo avvolge nel suo dono misericordioso; salva il presente perché lo fa diventare occasione per scegliere il bene; salva il futuro perché lo trasfigura in una missione da compire avviandosi alla terra promessa».