L’Arcivescovo ha presieduto in Duomo il Pontificale nella Solennità dell’Epifania, da vivere come «festa della Chiesa dalle genti, celebrazione di comunione per sostenere le fatiche del cammino e sfidare le insidie dei prepotenti». Annunciata, come tradizione, anche la data della Pasqua che sarà il 12 aprile
di Annamaria
Braccini
Un richiamo forte alla pace, un invito a difenderla, mantenendo accesa la fiamma del dialogo, perché «la guerra porta solo morte e distruzione», come ha ricordato papa Francesco nel suo ultimo “Angelus”.
Mentre «in tante parti del mondo si sente la terribile aria di tensione», è l’Arcivescovo – che presiede, in Duomo, il Pontificale solenne nell’Epifania, concelebrato dal Capitolo dei Canonici della Cattedrale – a citare, appunto, il Papa chiamando i presenti e ogni fedele a pregare con questa intenzione. Infatti, la stella, i Magi, il Bambino da adorare, dopo il lungo cammino percorso nella speranza, con il loro messaggio di fraternità universale, paiono già, dopo pochi giorni dall’inizio del nuovo anno, segnati dalle vicende del uomini del Terzo millennio che rimbalzano, in queste ore, da una parte all’altra del pianeta, tra venti di guerra e di distruzione. Quasi un contrappasso, per cui l’omelia del vescovo Mario – rivolta a comprendere il significato pieno dell’Epifania – offre motivi di preziosa riflessione. «Alcuni dicono che la competizione è lo stimolo per la ricerca e il progresso. I Magi venuti da Oriente testimoniano che vi è una sapienza frutto della condivisione di un desiderio e di uno scambio di doni. Forse i tecnici venuti da Occidente possono farsi discepoli dei Magi che ci insegnano le vie dell’amicizia per riconoscere il segno e decidersi a partire. La comunione costruita con la ricerca condivisa, con la rivelazione accolta insieme, con il cammino percorso in fraterna solidarietà, ha sostenuto nel momento della sfida, ha dato forza ai miti di fronte ai prepotenti, ha suggerito la domanda che ha messo in agitazione i sapienti, ha generato la novità che ha svelato il tesoro nascosto nelle Scritture già lette e rilette».
Perché, allora, non tornare a seguire insieme quella stella luminosa, non come «il frutto proibito conquistato con l’ambizione», ma per orientarsi nella notte delle tracce di luce che sono, magari, traiettorie di missili? Perché non inseguire «il pensiero che aderisce alla verità e che nasce nelle dimore dell’amicizia», anche se costa fatica?
«Quanta pazienza per sopportarci gli uni gli altri, così diversi per cultura e abitudini. Quanta vigilanza per discernere il percorso di ogni giorno, la strada più sicura, per evitare le tentazioni e vincere insieme la sfida, quanta disciplina per camminare insieme, contenendo l’ambizione di chi vorrebbe correre avanti, la pigrizia di chi vorrebbe procedere per vie più comode e tranquille, la nostalgia di vorrebbe volgersi indietro». Eppure, proprio se «la speranza che si affida alla promessa diventa il cammino di un popolo può nascere quella «fortezza per disturbare la vita dei potenti, per scuotere la città ignara, per affrontare il tiranno sospettoso e irascibile».
«L’essere insieme nel rispondere alla chiamata della stella ha turbato Erode e con lui tutta Gerusalemme, come il farsi presente di un popolo nuovo chiama a novità l’antico e apre la possibilità di una storia nuova, l’annunciarsi della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo. La Chiesa è sale e lievito, invocazione di giustizia e coraggio della testimonianza se è unita, un cuor solo e un’anima sola, anche per far fronte alle ingiustizie e alle cattiverie della prepotenza».
Infine, l’incontro con il Bambino che permette di «celebrare l’Epifania come festa della Chiesa dalle genti, come celebrazione di quella comunione che consente di cercare la verità e di riconoscere i segni del Regno di Dio; che permettete di sostenere insieme le fatiche del cammino, di sfidare le insidie dei prepotenti, di sperimentare la grandissima gioia dall’adorare il bambino Gesù nostro Signore».
Tutto, d’altra parte, in Duomo, “parla” della stella che – sospesa sopra l’altare maggiore – è un segno allusivo, così come i doni che vengono, per l’occasione, portati all’Offertorio, con l’incenso, la mirra e una sorta di manufatto ligneo che rappresenta le monete d’oro. Ma il riferimento vero non può che essere sempre alla pace, come viene letto, anche nella preghiera dei fedeli, «per la ricerca non violenta della fraternità universale e della giustizia, via maestra e fondamento della pace. Nessuno Stato o capo di governo, pensi di poter risolvere i problemi con la guerra o le aggressioni violente e tutti si sentano parte del grande progetto divino tutti considera figli del Figlio Gesù».
Espressioni – queste – che tornano nel ringraziamento finale dell’Arcivescovo con il suo appello, appunto a pregare per la pace e a rinnovare la nostra fede. «Un detto popolare dice che l’Epifania tutte le feste porta via, ma noi, invece, dall’incontro con il Signore abbiamo motivo per far diventare festoso ogni giorno». Un pensiero particolare è per il predecessore, il cardinale Carlo Maria Martini che esattamente 40 anni fa, il 6 gennaio 1980 (il 29 dicembre 1979 era stato nominato arcivescovo di Milano dove avrebbe fatto il suo ingresso il 10 febbraio dell’anno successivo) riceveva dalle mani di papa Giovanni Paolo II l’Ordinazione episcopale.