Nella Basilica di Sant’Ambrogio ha presieduto la Professione dei Voti perpetui di due giovani religiose

di Annamaria BRACCINI

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Sono le 10.24 del mattino, quando monsignor Mario Enrico Delpini, accolto dall’applauso dei moltissimi fedeli presenti, entra nella basilica di Sant’Ambrogio per recarsi subito nell’ottocentesca Cappella del Santissimo Sacramento dedicata al Sacro Cuore, dove sosta per una preghiera e una breve adorazione eucaristica.
È la prima Celebrazione che l’ormai Arcivescovo di Milano presiede in questa sua nuova veste, dopo la presa di possesso canonica della Sede Arcivescovile avvenuta in Duomo, poco prima per procura, attraverso il vescovo ausiliare monsignor Erminio De Scalzi che, durante il Rito nel quale viene letto anche un Messaggio di papa Francesco, assicura al nuovo Pastore l’aiuto e il sostegno da Delpini stesso richiesti al momento della sua nomina, il 7 luglio scorso. «Ho bisogno di tutte gli uomini e le donne che abitano in Diocesi, da qualunque parte del mondo provengano, qualunque lingua parlino per aiutare la Chiesa ambrosiana a essere creativa e ospitale, più povera e semplice, per essere più libera e lieta».
Poi, a distanza di poco più di un’ora, è ancora la Chiesa di Milano in festa ad accogliere, per la Celebrazione eucaristica della Professione religiosa dei Voti perpetui di due giovani, il Pastore che la presiede e che, non a caso, veste i paramenti liturgici arcivescovili nella Cripta dove sono custodite le spoglie di Ambrogio e di Gervasio e Protasio. Oltre 40 i concelebranti, tra cui 3 Vescovi – gli ausiliari De Scalzi, Stucchi e Martinelli – e il neo abate di Sant’Ambrogio, monsignor Carlo Faccendini. Tra coloro che non hanno voluto mancare a questo significativo momento, anche un gruppo di musulmani – seguiti dall’ausiliaria Giusi nei Centri di Ascolto di Sesto San Giovanni e Bruzzano – e alcune coppie miste accompagnate attraverso il Consultorio loro dedicato.
Anna Casati delle Suore Orsoline di San Carlo e Giusi Valentini delle Ausiliarie Diocesane, infatti, pronunciano il loro “Eccomi” professando per sempre i Consigli evangelici di povertà, castità e obbedienza e scegliendo, così, una vita interamente donata al Dio.
Un esempio, una scelta coraggiosa che indica una via chiara a cui l’Arcivescovo dà voce, nell’omelia, parafrasando e attualizzando il brano del Vangelo di Luca al capitolo 24, appena proclamato. L’incontro tra Gesù risorto e i Discepoli di Emmaus diviene, in questa logica, un’allusione incalzante e interrogante per tutti, per la condizione umana degli stanchi e sfiduciati viandanti del Terzo Millennio. Noi che, nella migliore delle ipotesi, andiamo fino a Gerusalemme, comprendiamo il dolore dell’Innocente sul Golgota, siamo ancora sensibili alla Parola di Dio e alla sua scuola. Eppure tutto questo – suggerisce monsignor Delpini – non basta.

L’omelia dell’Arcivescovo

“Fin dove siete andati, viandanti?”, chiede infatti, il vescovo Mario.
«Siamo andati fino a Gerusalemme, fino alla città santa, fremente di attese e di impazienze, di folle agitate e di potenti suscettibili, perché proviamo compassione per l’oppressione della nostra gente, per lo scoraggiamento che talora la deprime e l’inquietudine che la rende facile vittima di promesse e illusioni. Ecco fin dove siamo andati: fino alla città dei nostri fratelli uomini».
«Non basta andare fino alla città, non basta che la compassione sia un sentimento che induce a condividere, che la desolazione del popolo sia una domanda che raggiunge come una ferita, che l’inquietudine contagi come una malattia. La vicinanza offre un momento di sollievo, la presenza amica rende più sopportabile la tribolazione, ma non basta».
E, altrettanto, per il Golgota: «Siamo andati fino allo spettacolo tremendo della Croce, quando si è compiuta la trama dei potenti e il profeta venuto dalla Giudea è stato messo a morte. Siamo andati a constatare che il potere è nemico dei profeti e che i giusti sono vittime dell’ingiustizia e che chi vuole essere fedele al Dio non ha successo sulla terra abitata dall’oppressore senza pietà. Siamo andati fino a raccogliere l’esempio di una morte tragica e di un amore esemplare». Eppure, ancora non basta riconoscere la cattiveria umana e l’esempio, non basta lo sdegno».
E non bastano neppure le parole dei Profeti che scaldano il cuore: occorre andare oltre, facendo un incontro, sperimentando una presenza viva, entrando in un’appartenenza che segna l’intera vita.
In una parola, «occorre spezzare il pane che rende possibile dimorare nel Signore, non per un ricordo affettuoso, non per un sentimento intenso, ma per l’opera di Dio che rende partecipi della stessa vita del Figlio. Ecco fin dove si deve arrivare, fino allo spezzare del pane che celebra la presenza reale del sacrificio che salva e che chiama alla comunione fino al sacrificio». Esattamente come san Luca, 2000 anni fa, scriveva dei discepoli di Emmaus che avevano riconosciuto il Cristo risorto “nello spezzare del pane”.
Coloro che emettono i voti esprimono questo, «sono una parola e una testimonianza per rispondere alla domanda: fin dove, viandanti? Fino alla definitività, vissuta non come un impegno da assumere, ma come la grazia che si irradia dalla definitiva consegna di Gesù che rende possibile la definitiva consacrazione a Lui».

La conclusione del Rito

Poi, i Riti della Professione religiosa. Qualcuno si sbaglia quando, nella preghiera eucaristica, si prega (e anche questa è una “prima volta”) per il nostro “vescovo Mario” – sono le 11.54 –, ma l’applauso è di nuovo corale quando, a conclusione, monsignor Delpini con la sua tipica ironia dice rivolto direttamente a suor Anna e Giusi ormai consacrate: «Mi scuso se oggi vi ho rubato la scena, ma è il giorno in cui, per la bontà di papa Francesco e la gentile e sempre fraterna mediazione di monsignor De Scalzi, ho assunto l’incarico di arcivescovo di Milano, quindi sono diventato un poco un personaggio. Non mi ero mai accorto che i giornalisti, i fotografi, i cineoperatori fossero così appassionati di Pontificali solenni e di Celebrazioni, ma questo mi dà l’occasione per dire che una delle premure pastorali più importanti è che si viva la giovinezza non come un parcheggio, ma come un cammino verso una scelta definitiva. Questo è un momento in cui celebrare tale orientamento e il desiderio di tutta la Chiesa. Nel pomeriggio parteciperò a un incontro di famiglie [a Flero nel bresciano, per celebrare l’Eucaristia nella seconda festa regionale dell’Associazione nazionale Famiglie numerose, ndr]. Il fatto che, nel primo giorno del mio Episcopato per una coincidenza non voluta, io abbia celebrato sia una professione solenne, sia un incontro di famiglie, mi permette di evidenziare alcune priorità che ci stanno a cuore e che appassionano l’impegno pastorale dei preti e di tutta la comunità».

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