Dopo una prima visita ai 74 Decanati della Diocesi, presiedendo una celebrazione eucaristica e incontrando i sacerdoti, l’Arcivescovo ha iniziato a confrontarsi anche con le componenti laicali in un contesto assembleare. Il senso della proposta spiegato dal Vicario generale
di Annamaria BRACCINI
Si ricomincia dai laici. È la nuova modalità con cui il cardinale Scola ha deciso di avviare, in maniera sistematica, la sua presenza nei singoli Decanati, dopo avervi portato a compimento una prima visita in tutti e settantaquattro. «È mio desiderio ripetere l’esperienza nell’incontro con i laici volendo, in questo, utilizzare il metodo dialogico già sperimentato con i sacerdoti», ha detto infatti l’Arcivescovo al laicato del Giambellino, riunito per l’occasione. D’altra parte, già come Patriarca di Venezia, il Cardinale – lui stesso l’ha ricordato – aveva promosso simili momenti di confronto e orientamento, riunendo parrocchie, associazioni e movimenti presenti in un determinato territorio. Senza dimenticare che, aprendo il suo ministero episcopale ambrosiano, aveva voluto ascoltare le diverse componenti anche laicali, allora a livello di Zone pastorali.
Il senso di questa intuizione, discussa e analizzata da Scola con i suoi più stretti collaboratori, lo spiega il Vicario generale, monsignor Mario Delpini, che dice: «Già da qualche mese l’Arcivescovo aveva espresso questa sua intenzione, sottoponendola, in varie occasioni, alla valutazione del Consiglio episcopale milanese, dei Vicari di zona e di settore. Date le dimensioni della nostra Chiesa locale e il tempo a disposizione, egli ha scelto di farsi presente nei Decanati, finora con la celebrazione eucaristica per i fedeli e incontrando i preti. Ora questo incontro si allarga al laicato».
Come si strutturano gli incontri?
Gli incontri in atto in questi giorni sono in qualche modo sperimentali, per mettere alla prova la “formula” e vedere, laddove occorra, di migliorarla, in vista di una sua concreta efficacia. L’Arcivescovo introduce la serata con una sua riflessione, cui segue il dialogo con l’assemblea, tra domande e risposte. Nella parte iniziale il tema di riferimento è l’idea di Comunità descritta negli Atti degli Apostoli e che definisce la Chiesa delle origini, di Gerusalemme. Come già delineato nella Lettera pastorale Alla scoperta del Dio vicino, l’obiettivo è quello di far emergere a pieno i quattro pilastri portanti – descritti soprattutto da Atti 2,42-47 – di ogni Comunità cristiana, come base comune da declinare nelle singole realtà locali. È un modo di proporsi sul territorio come Pastore che guida il popolo affidatogli, ma anche come colui che, ascoltando, raccoglie suggerimenti, esperienze, proposte e, anche, proteste provenienti dalla base.
Si può dire che questo tipo di visita sia l’immagine concreta di una grande Comunità che si educa e vuole educare insieme con il Vescovo?
Il contesto di una Comunità educante, come è ovvio, non si conclude con un anno pastorale, ma deve divenire l’emblema di una mentalità con cui trasmettere la fede ai ragazzi, ma anche, per gli adulti, di vivere la propria formazione. Presumo che il tema non sarà solo quello della Comunità educante, ma si aprirà alla questione più generale della presenza di cristiani nell’oggi della nostra società. In questo senso, è chiaro che lo scopo è portare una più matura consapevolezza all’interno delle nostre comunità ecclesiali.
L’auspicio finora emerso è quello di una comunionalità più vissuta, di una testimonianza che non sia solo “buon esempio”, di una semplificazione delle strutture per non fare della Chiesa una mera, seppur meritoria, erogatrice di servizi. In ultima analisi è una ricerca di senso?
La sinodalità è uno dei caratteri che l’Arcivescovo ha più volte sottolineato, sollecitando a «mettersi in gioco». Un’assemblea aperta, a cui sono convocati tutti i laici che lo desiderino, arricchisce senza dubbio la visione che l’Arcivescovo può avere della sua Chiesa. Le nostre comunità sono ammirevoli, per le loro pluriformi attività quotidiane; tuttavia, talvolta si ha l’impressione che tanta vivacità non sia sempre illuminata da altrettanta passione per il Vangelo. Il problema della separazione tra fede e vita – che sta molto a cuore all’Arcivescovo – mi pare che si evidenzi in una certa relatività del credere che non riesce a transitare nell’esperienza di tutti i giorni. Tra fede e vita, quella che mi sembra debole è la fede.