Il cardinale Scola, al Teatro Cristallo di Cesano Boscone è intervenuto a uno degli incontri quaresimali promossi dalla Comunità pastorale “Madonna del Rosario”. Ai moltissimi laici presenti ha raccomandato la costruzione di una Chiesa capace di aprirsi e di vivere la gratuità
di Annamaria BRACCINI
I cristiani dei primi secoli e l’attualità di un essere e costruire la Comunità che ha tanto da insegnarci ancora oggi «nel passare del tempo e nel mutare dello spazio». Quella Comunità che, delineata dal secondo capitolo degli Atti degli Apostoli ai versetti 42-47, è un «punto di partenza importante su cui insisto da sempre e che, invece, spesso è poco còlto», come dice il cardinale Scola che dialoga con i laici del Decanato Cesano Boscone, nella Sala della Comunità “Teatro Cristallo”, durante uno degli incontri quaresimali promossi dalla Comunità pastorale “Madonna del Rosario”.
A fare gli onori di casa, nel Teatro affollato – in prima fila ci sono una quindicina di sacerdoti – appunto il Decano, don Luigi Caldera, che dà il benvenuto all’Arcivescovo a nome di tutti. «In un momento di individualismo esasperato per cui anche come comunità cristiane si fa fatica a vivere la comunione e nel tempo in cui si rinnovano i Consigli pastorali, la sua presenza e un’occasione privilegiata per capire ciò che stiamo vivendo».
«Non dimentichiamo mai che la dimora che rende Cristo presente, la Chiesa, è possibile in virtù dell’Eucaristia illuminata dalla Parola di Dio. Questa è la realtà che permette di fare un’esperienza autentica di appartenenza, tanto che le tradizioni cristiane che hanno perso questo gesto si sono svuotate, fino a vendere centinaia e centinaia di chiese nel nord Europa», dice subito il Cardinale come premessa.
Il legame iscindibile tra la persona e la Comunità
La “micro Lectio” – così la definisce lui stesso, nel riferimento costante al capitolo VIII della Lettera Pastorale “Alla scoperta del Dio vicino” per il 2012-2013 –, è così un invito a leggere la Comunità di Gerusalemme e le nostre attuali nella dinamica dei quattro pilastri descritti da Atti 2 e secondo una conseguente «comunione di vita che non è una teoria astratta», ma scambio continuo e condivisione totale.
«In continuità con l’esperienza che gli Apostoli, vivendo ciò che il Signore avena loro ordinato, i quattro pilastri edificano una Comunità che fa fiorire la libertà, aperta a 360°, accogliente perché altrimenti non permette un’esperienza autentica di amore. La relazione non è, allora, conseguente, ma costitutiva perché solo nel prendere coscienza dell’altro diventiamo strutturalmente una persona». Un legame, questo, tra il singolo e la Comunità «inscindibile proprio perché Gesù è venuto a innestare la parentela naturale in un orizzonte ben più ampio di quella della carne e del sangue», sottolinea l’Arcivescovo. «Così vivevano i nostri fratelli, molti dei quali avevano conosciuto il Signore immediatamente dopo la sua salita al cielo».
Dunque, fedeltà all’insegnamento degli Apostoli e ai loro successori, i Vescovi, perseveranza nello spezzare del Pane e nelle preghiere con quella “Educazione al pensiero di Cristo” che Scola, con l’espressione di Paolo ai Corinti, chiama «fondamentale».
Insomma, non si tratta solo di pensare a Cristo ma di «pensare Lui» attraverso tutte le circostanze e i rapporti della vita: «un dato sconvolgente e che, infatti, spesso obliteriamo. Dobbiamo allargare la ragione, assumendo il Pensiero di Cristo e la formazione culturale deve diventare la modalità con cui la modernità viene affrontata». In gioco, d’altra parte c’è tanto: c’è una Chiesa che non riduca la sua spinta evangelizzatrice solo a «slancio generoso», una Chiesa in uscita, capace di aprirsi verso il campo che è il mondo
Una comunione vera, educata al gratuito
Il pensiero è alla comunione «che diventa spesso causa di amarezza, ridotta com’ è, al tentativo di andare d’accordo nell’esaltazione sentimentale della concordia. Al contrario – scandisce l’Arcivescovo nel silenzio –, siamo chiamati a un’accoglienza radicale che viene prima di ogni altra cosa. Questa si chiama gratuità assoluta».
Come a dire che, solo radicati nel Sacramento, illuminati dalla Parola di Dio, dove è Gesù stesso che ci parla, possiamo comunicare spontaneamente la bellezza dell’essere cristiani.
Fedeltà alla successione apostolica, comunione reale nell’Eucaristia e nell’ascolto della Parola creano, allora, la testimonianza. E, anche qui, il monito è chiaro: «Le nostre Comunità pastorali, la Diocesi vivono così? A me sembra che siamo soprattutto un luogo lodevolissimo di servizi e di organizzazione di attività. Certo, la fede implica la generosità, ma è molto di più. Tanto è vero che perdiamo le giovani generazioni e quelle di mezzo non aiutandole a vedere il nesso tra la presenza ecclesiale di Cristo e la vita di tutti i giorni». Un problema doloroso, peraltro già intuito nel 1934 dal beato Montini, ma oggi più che mai pressante – «ci rimangono solo dieci anni» per capovolgere questo trend –, suggerisce Scola.
E se tutto ciò può parere ad alcuni pessimismo, ma è solo sano realismo e invito a guardare il presente, il dialogo che si sviluppa alla fine, non è altro che un ribadire i punti fermi di una Chiesa che deve essere abitata dallo Spirito e non in nostro possesso.
Educare sistematicamente e organicamente
La via è una sola: educare in maniera sistematica e organica.
«Educhiamo sistematicamente al gratuito?» si chiede Scola che nota: «La nostra Diocesi, dal punto di vista della condivisione, è impressionante, basti pensare che ci sono 900 Caritas parrocchiali e che nelle cooperative nate dalla Caritas lavorano in autonomia oltre 1000 persone, eppure il senso del gratuito fatica a passare. Per questo al carità è ridotta spesso a filantropia: ma a noi è stato dato molto di più. Bisogna educarsi all’amore, alla gratuità anche con semplicità, sennò sarebbe come pretendere di frequentare la prima media andando a scuola due volte l’anno. Se non siamo chiari sul perché, ma soprattutto sul per Chi facciamo le cose, non educheremo mai.
Siamo arrivati a non parlare, nelle nostre Comunità, delle questioni più scottanti perché, dividono: ma come possiamo essere testimoni di un Dio che è via alla verità alla vita se non affrontiamo le questioni base dell’esistenza?».
Per colmare il fossato drammatico creatosi tra Dio e la vita quotidiana ci vogliono i testimoni. Cristo come centro affettivo della vita è la motivazione del mio modo di azione normale, altrimenti la capacità di compassione e di dedizione è destinata anch’essa a indebolirsi e affievolirsi. È un problema di fede e di realismo. Se la proposta è oggi così poco accolta vuol dire che non la sappiamo comunicarla».
In un parola, la comunione non può ridursi a una generica filantropia, la Chiesa non è una pur necessaria Onlus, l’educazione sistematica ai Sacramenti fonda la cultura dell’evangelizzazione, la fedeltà all’Eucaristia e a Parola di Dio, come nutrimento della persona, “fanno” la testimonianza che non è – evidentemente – il buon esempio o il cristiano “politically correct” .