Al Gratosoglio centinaia di fedeli hanno partecipato alla celebrazione diocesana guidata dall’Arcivescovo, che ha sollecitato il perdono come cura per una memoria malata: «I pregiudizi configurano i ghetti, frantumano la città in frammenti che si ignorano e si giudicano senza conoscersi»
di Annamaria
Braccini
La memoria malata che crea pregiudizi e risentimenti, semina disprezzo e alza muri, alimenta sensi di colpa personali e ghetti sociali. Suonano come un monito e, insieme, una consegna a guarire attraverso il perdono e la misericordia, le parole che l’Arcivescovo rivolge alle centinaia di persone che, seguendo l’Eucaristia, attraversano il quartiere storico del Gratosoglio, tra i palazzoni tipici di ogni periferia urbana, ma anche tanto verde e villette antiche.
La processione diocesana del Corpus Domini è come tutta racchiusa nell’immagine di una Chiesa in cammino: sacerdoti (molte decine, tra cui i Vescovi ausiliari, i Vicari episcopali e il decano dei Navigli don Walter Cazzaniga), seminaristi, fedeli, associazioni di volontariato che fanno grande Milano, Confraternite, Ordini cavallereschi e autorità (a rappresentare il Comune l’assessore ai Lavori pubblici e casa Gabriele Rabaiotti, Antonio Di Lauro per la Città metropolitana e il rettore dell’Università Cattolica Franco Anelli).
Tutti insieme pregando e riflettendo sulla Parola di Dio e sui brani dedicati al pane eucaristico dal futuro santo Giovanni Battista Montini. «Tutti partecipiamo all’unico pane» è il tema della celebrazione, che prende avvio dalla parrocchia Maria Madre della Chiesa, dove viene detta Messa. Il saluto iniziale è rivolto dal parroco dell’Unità pastorale don Alfredo Cermenati, che sottolinea la forza di gesti «che sono segni semplici di accoglienza e di tenera cura».
Passando tra due Case di cura, con la gente che si affaccia ai davanzali degli appartamenti illuminati da fiammelle, tra improvvisati piccoli altari mariani e chi si inginocchia al passaggio del Santissimo portato tra le mani da monsignor Delpini nell’antico e prezioso ostensorio ambrosiano, si arriva infine a San Barnaba al Gratosoglio.
L’omelia dell’Arcivescovo
«La memoria malata è la zavorra che grava sulle spalle degli uomini, la discarica del tempo passato, l’ingombro dei relitti: è il terreno propizio al dominio delle erbe cattive e al prodursi dei frutti velenosi – scandisce Delpini -. Infatti, nella memoria malata si rinvigorisce il risentimento per il male ricevuto, si fossilizza il pregiudizio».
Quello che, troppe volte, pare di toccare con mano nelle nostre strade abitate dalla multietnicità, da diversi colori della pelle, da tante lingue e tradizioni: «I pregiudizi squalificano le persone, i popoli, i gruppi, alimentano rivalità, seminano disprezzo, erigono le barriere dietro le quali si sente rassicurata la pigrizia mentale, il rifiuto di comunicare. I pregiudizi configurano i ghetti, frantumano la città in frammenti che si ignorano, si giudicano senza conoscersi». È in questi “ghetti” che si coltivano sensi di colpa, guardando a un passato che sembra immutabile, a destini ai quali non si fugge, mentre «la presenza reale di Gesù trasfigura il tempo e permette di pronunciare la parola inaccettabile nel presente: il perdono… Animati dallo Spirito del Signore possiamo perdonarci a vicenda, tra vicini di casa, tra colleghi d’ufficio, tra marito e moglie, tra fratelli e sorelle, gente che ha litigato, gente che non si saluta più, gente che si evita: tutti possono ritrovare la pace se guarisce la memoria malata».
E questo, anche e forse di più, a livello di società. Così il brano della lettera ai Colossesi, proclamata durante la Processione – «qui non vi è Greco o Giudeo, barbaro, Scita, schiavo, libero, ma Cristo è tutto in tutti» -, diviene la cifra di un riconoscersi Chiesa capace di amicizia civica. «Così prende volto la Chiesa dalle genti, come la casa dove tutti coloro che sono scelti da Dio, santi e amati, possono accogliere come una parola di fraternità condivisa. Il tormento del senso di colpa della memoria malata è guarito dall’esperienza della misericordia: Gesù muore per amore, scende negli inferi, nella profondità della terra e negli abissi più oscuri del cuore umano e prende per mano l’umanità dolente. La misericordia avvolge di una luce benevola il passato e vi riconosce la possibilità che l’irrimediabile sia rimediato, non perché mutino i fatti, ma perché la grazia dello Spirito illumina di una luce nuova anche le vicende più confuse, perdona anche i peccati più gravi, libera dal sospetto di essere colpevoli».
«Nella misericordia, tutti siamo avvolti dalla gloria di Dio. La terra è piena della sua gloria», conclude l’Arcivescovo citando il suo motto, prima della solenne benedizione eucaristica con il Santissimo portato anche all’esterno della chiesa, per i molti fedeli che non sono riusciti a entrarvi.