L’incontro con le realtà del territorio, la cura per la vocazione dei giovani attraverso la proposta del volontariato e il favorire la Chiesa dalle genti: questi gli auspici dell’Arcivescovo per i 60 anni dell'associazione e nel ventennale della morte di don Francesco Pedretti
di Annamaria
Braccini
60 di storia (bella e molto significativa) del Centro di Orientamento Educativo e 20 anni dalla morte del suo carismatico fondatore, don Francesco Pedretti, avvenuta il 9 luglio 1999.
Sono date e anniversari importanti quelli che hanno segnato la Due giorni che a Barzio, presso la sede prima e storica del Coe, ha visto riuniti sostenitori, amici, soci e personalità. Con il titolo – tratto da un’espressione di monsignor Pedretti – “Senza lo scambio e senza un cammino insieme non c’è vero sviluppo”, il Convegno, è stata occasione per ricordare il fondatore e anche per presentare il saggio “Il volontariato è…- Dagli appunti di don Francesco Pedretti” (Teka edizioni). Non hanno voluto mancare il sindaco di Barzio, Giovanni Arrigoni, e l’Arcivescovo, cui era accanto don Angelo Puricelli, consigliere spirituale dell’Associazione.
«Siamo partiti con una decina di membri tutti italiani, oggi siamo più di 200», spiega un emozionato André Siani, presidente dell’Ente dal 28 aprile scorso, originario del Cameroun, dove il Coe promosse il suo primo progetto all’estero.
Presente in diversi Paesi dall’Africa all’Europa, Asia e America Latina, il Centro, nato e cresciuto nella Chiesa di Milano, come auspica Siani, «vuole essere disponibile a partecipare attivamente alla Pastorale della Diocesi».
«Al fine di costruire insieme un mondo di pace e fraternità, anche se non è facile, porteremo con gioia la nostra goccia di speranza a tutte le persone e comunità che incontreremo nel nostro cammino».
Poi, è la volta delle testimonianze: Paolo Colletto, da 40 anni al Coe, impegnato con la moglie in Congo e, successivamente, nella formazione di coloro che partivano e Paolo Caporali che sarà dal 1 settembre il nuovo direttore del Coe e che dice: «Ho fatto il servizio civile in Cameroun per progetti di cooperazione internazionale, sviluppando competenze e professionalità, come accade da sempre per il Centro di Orientamento Educativo».
L’intervento dell’Arcivescovo
Di coincidenze stimolanti, parla il vescovo Mario, esprimendo tutta la sua gratitudine. «Ogni incontro con il Coe, nelle diverse manifestazioni come il Festival del cinema, suscita in me molta meraviglia, perché mi pare di notare una visione internazionale, una lettura delle situazioni e dei problemi del mondo. Ho ammirazione per la tenacia con cui è proseguita l’intuizione di don Francesco. Quando incontro il Coe, mi metto più a imparare che a insegnare».
Riprendendo la speranza di nuove sinergie espressa dal Presidente, l’Arcivescovo aggiunge: «Chiediamoci da dove viene il Coe e quale ne sia la radice. È il radicamento nel Vangelo, nella dedizione all’assumere la Parola di Gesù come ragione affidabile che offre le ragioni profonde per tutto quello che è stato fatto. Questa è un’espressione valoriale del Coe, da cui ne è venuta la fecondità. Di fronte alle sfide di oggi e anche alle difficoltà normative del Terzo settore, della cooperazione internazionale e delle risorse, possiamo continuare a custodire la gioia e lo slancio, anche di fronte alle lungaggini della burocrazia, se stiamo collegati alle radici. La gioia di don Francesco, capace di contagiare gli altri, era nella sua fede. Oggi, questo segreto della gioia mi sembra un patrimonio che non possiamo nascondere, anche se spesso prevalgono l’inquietudine e la tristezza, l’insoddisfazione, magari, per gli insuccessi».
E, ancora, «partiamo dal fattore simbolico del suono delle campane, come messaggio festoso che comunica che vi è una ragione per radunarsi lieti. È un messaggio che si perde nell’aria e che dura pochissimo, ma raggiunge le persone e può radunarle con un senso di appartenenza. Anche il Coe è un suono di campane, come presenza che sveglia, chiama e diffonde letizia. Il Centro è la piccolezza del suono delle campane nell’enorme scenario del tempo presente con le sue dinamiche. Viviamo il tempo della seminagione con un piccolo seme, ma che cresce e diventa un albero dove tutti possono trovare ombra. La piccolezza non è un’obiezione all’efficacia. Il fallimento, invece, viene dalla pigrizia e dal senso di inferiorità. La legge della piccolezza è la vera capacità di incidere nella storia, come abbiamo imparato da Gesù».
Infine, la risposta diretta sul rapporto Diocesi-Coe. «Rappresento la Chiesa di Milano, ma mi sento del Coe», scandisce il Vescovo, mentre scatta un applauso.
«Mi rendo conto che la Diocesi ha la funzione promettente di essere a servizio dell’incontro, facilitando i collegamenti e favorendo le alleanze. Capisco che, su invito del Vescovo, si può realizzare l’incontro tra mondi diversi e lontani gli uni dagli altri. Su questo possiamo trovarci alleati: nel cercare vie per l’incontro e su come il Coe, con il suo patrimonio culturale ed educativo, possa spingersi oltre». Ma in quali contesti? Ad esempio nella Milano città universitaria, indicando percorsi virtuosi e costruttivi di giovani ad altri giovani; o su come interpretare il mondo della moda portando la conoscenza di tanti Paesi e culture; o nell’incidenza sul mondo della finanza, mostrando le possibilità di un ecologia integrale e di modelli alternativi di sviluppo sostenibile, come dice il Papa. «La Diocesi può fare, in questo, opera di mediazione»
E, inoltre, vi è la vocazione specificamente educativa del Coe in relazione alla questione, definita «trepida», giovanile. «Si tratta di vedere come recepire e rivedere ciò si fa per i giovani nella prospettiva del Sinodo e dell’Esortazione post-sinodale, “Christus vivit”. Il tema del volontariato con esperienze internazionali può avere un’attrattiva particolare e credo che tali scelte vadano valorizzate nel contesto della Pastorale giovanile. Il volontariato ha una potenzialità vocazionale, come ha dimostrato l’esperienza del futuro direttore. Ciò che può qualificare la vita di un giovane è la prospettiva vocazionale, cioè vivere la vita come risposta non mondana, incoraggiando la domanda su chi si è. Il Coe può essere un contesto propizio per il discernimento vocazionale».
«Siamo in un momento storico nel quale la nostra Chiesa locale deve sapere di essere la Chiesa dalle genti, dove non vi sono ospiti di una Chiesa che pratica proposte educative già collaudate o che parla solo italiano. L’integrazione non è riduttiva omologazione, ma è la docilità allo Spirito, nella purificazione di ogni interpretazione locale del Vangelo. Bisogna intraprendere processi, avere attenzioni e su questo il Coe ha esperienza di tale sentirsi Chiesa dalle genti. Mi aspetto di ricevere aiuto in questo percorso. Il volontariato cristiano è non confessionale, ma qualificato dal modo di rendere un servizio all’uomo come ha fatto Gesù. È un volontariato che non esclude perché – nella consapevolezza dell’identità di ciascuno -, non separa ma invita a condividere. Non è un volontariato generico, ma manifesta tutta la sua fecondità in un’accoglienza universale».
La Celebrazione eucaristica
La mattina si conclude nella chiesa di Sant’Alessandro di Barzio, nella quale tutti i partecipanti al Convegno, arrivano camminando insieme e dove l’Arcivescovo, che presiede l’Eucaristia, nella sua omelia, in riferimento alle Letture, osserva.
«La voce di Abele sale al cielo, è la voce del cuore devoto, sincero e libero che offre senza pretendere, che ama senza calcolare, che si dedica al bene senza aspettarsi applausi. È la voce dei semplici che trovano la loro gioia nel dare gioia. I miti non hanno programmi o strategie, pensano che sia meglio essere buoni, invece che prepotenti. Sono inermi di fronte alla violenza, ma non si lasciano scoraggiare dalle sconfitte. La voce di Abele è il sangue versato ingiustamente che chiede giustizia, ma non vendetta; è potente, ma non prepotente. È la voce della fede che parla ancora. Gli amici di Dio ascoltano la voce di Abele e si lasciano provocare dalle domande e svegliano il pensiero per disegnare i tratti di una storia diversa, buona, scritta insieme ai poveri, agli innocenti e ai miti. Così disturbano i potenti, con l’audacia di un sogno. Vogliamo ricordare don Francesco, di cui si è detto e si può dire molto, ma in questa Celebrazione può bastare ricordare che ha ascoltato la voce di Abele e ci ha convocati tutti per raccogliere il grido del sangue versato, per diventare anche noi protagonisti di una storia nuova».