A Orano, per la prima volta in un Paese a maggioranza islamica, il rito per i 19 religiosi cattolici vittime della violenza integralista tra il 1992 e il 2001. «Il loro personale cammino di fede ha avuto una convergenza comune verso il dono definitivo, la morte. Per questo la loro vicenda colpisce», spiega il postulatore padre Thomas Georgeon
di Annamaria
BRACCINI
Lo hanno chiamato il “Decennio nero” per la scia di sangue che ha seminato, con la morte di quasi 200 mila persone tra uomini, donne, bambini, anziani. Tra i tanti, 19 religiosi cattolici – suore, consacrati, monaci, un Vescovo -, che verranno beatificati l’8 dicembre a Orano, in Algeria (la prima beatificazione cattolica in un Paese a maggioranza musulmana). Sì perché quel decennio, dal 1992 al 2001, ebbe come teatro il Paese nordafricano coinvolto in una guerra civile drammatica, tra islamisti ed esercito, in cui trovarono il martirio anche il Vescovo di Orano e i 7 monaci trappisti del monastero di Tibhirine.
«Testimoni della speranza», li definisce padre Thomas Georgeon, anche lui trappista, postulatore della causa dal 2013 e autore del volume La nostra morte non ci appartiene. La storia dei 19 martiri d’Algeria (con Christophe Henning, prefazione di Enzo Bianchi, Emi). «Il titolo francese del libro – precisa – è Le nostre vite sono già donate, la risposta che suor Paul-Hélène Saint-Raymond, anche lei martire, diede all’Arcivescovo di Algeri, che aveva richiamato le religiose alla prudenza, perché tutti sapevano del rischio che correvano».
Si parla molto dei 7 martiri di Tibhirine e del vescovo di Orano, monsignor Clavèrie, ma ci sono anche gli altri 12, seppure meno conosciuti… Come definire la loro testimonianza corale? Quale spiritualità indica al mondo di oggi, specie in Europa?
La testimonianza dei 19 beati martiri colpisce perché ciascuno di loro ha avuto un proprio e personale cammino di fede. Quando sono arrivati gli anni della tragedia, queste figure così diverse hanno vissuto una forma di convergenza comune verso il dono definitivo, verso la morte. Convergenza che hanno sperimentato tutti coloro che vivono nella Chiesa in Algeria: parliamo di quelli che sono stati uccisi, certo, ma non dimenticando che furono un centinaio i cosiddetti “permanenti” che hanno accettato la possibilità del martirio, o almeno della morte violenta, e che sono ancora in vita. Quindi ciò che si rende evidente è la testimonianza di tutta una Chiesa.
Nel documento dei Vescovi di Algeria, si legge: «Queste beatificazioni sono una luce per il nostro presente e per l’avvenire. Dicono che l’odio non è la risposta all’odio, che non esiste una spirale di violenza che sia ineluttabile». Come questo riconoscimento di martirio, esemplare per i cristiani, può aiutare il dialogo con il mondo musulmano?
Per dialogare bisogna essere in due. Non possiamo giocare a fare gli angeli o gli ingenui, dicendo che questa beatificazione segnerà un cambiamento totale nel dialogo con il mondo islamico. Semmai, si può dire che indichi, a livello della vita condivisa, la possibilità di un cammino che non sia di profilo intellettuale o teologico. Per andare avanti credo che possiamo richiamare gli insegnamenti del Concilio Vaticano II. Si può dialogare con tutti, ma dobbiamo essere consci che alcuni non vogliono la presenza di una Chiesa in un mondo musulmano.
Oltre 4000 islamici parteciparono ai funerali dei 4 Padri bianchi uccisi nel 1994. Non vi è dubbio che la grande maggioranza dell’Algeria, anche per la sua storia, abbia vissuto con orrore e paura la morte violenta dei testimoni della fede cristiana. Il fondamentalismo ha mutato qualcosa?
Penso che ci sia una differenza notevole tra la persecuzione che, in questi ultimi anni, la Chiesa subisce in Medio Oriente e la situazione in Algeria negli anni Novanta. La Chiesa algerina, in quanto tale, non è mai stata perseguitata. Nel 1962, quasi tutti i cristiani – fedeli, sacerdoti e comunità religiose – avevano lasciato il Paese dopo l’indipendenza. Ci si poneva la domanda di cosa si potesse fare, consapevoli che non doveva, comunque, essere una Chiesa “alla francese”, che imponesse il modello della madrepatria. L’intuizione del cardinale Leon Étienne Duval, Arcivescovo di Algeri, fu che la Chiesa dovesse essere anzitutto al servizio della società algerina. Egli credeva molto nell’amicizia e pensava che questo fosse il cammino giusto da percorrere per la “sua” Chiesa. La gente conosceva e apprezzava i martiri perché lavoravano nella scuola, nell’assistenza e negli ospedali, rappresentando una vicinanza amica. Quindi, cose semplici e umili da proporre con una presenza totalmente dedicata al servizio dell’altro: un messaggio profetico anche per la Chiesa d’oggi.
Quale aspetto l’ha maggiormente colpita nel suo lavoro di postulatore?
Mi piace ricordare ciò che mi raccontò padre Christian de Chergé, perché ritengo che la chiave di lettura della sua presenza in Algeria si trovi simbolizzata in un episodio della sua vita, quando era seminarista e prestava servizio militare nel Paese durante la guerra del 1959-’60. Si era affezionato a un pastore del villaggio in cui era dislocato e parlavano spesso delle loro rispettive fedi. Padre Christian era un uomo dotato, intelligente, che aveva elaborato un proprio pensiero strutturato già all’epoca, mentre il pastore era un uomo del tutto semplice, ma che viveva profondamente la sua religione. Non a caso diceva: «Voi cristiani pregate poco». Il che voleva dire: «Avete poco senso della trascendenza». Un giorno erano insieme, in campagna vicino a un pozzo, quando il pastore seppe che i ribelli stavano preparando un attentato per tentare di uccidere padre Christian. Essendo diventato suo amico, fece in modo che l’agguato non avvenisse: l’indomani fu ritrovato morto vicino al suo pozzo. Anni dopo padre Christian mi ha spiegato che, secondo lui, l’amico aveva vissuto, in un certo modo, l’Eucaristia, il dono totale di sé per gli altri. Non sono stati uccisi solo 19 cristiani, che proclamiamo beati, ma un popolo intero è stato lacerato dalla violenza di quel decennio nero. Il senso della causa e della cerimonia di beatificazione sta tutto qui e bisogna pensare al segno che darà al mondo.
Alla beatificazione saranno presenti autorità religiose e civili algerine?
Sì, ci sarà una significativa presenza musulmana. Per questo è stato importante, anche se non era scontato, voler celebrare il rito in un Paese per lo più islamico, cosa mai vista nella storia della Chiesa. Le stesse autorità civili algerine hanno offerto la loro collaborazione: il Ministro per gli Affari religiosi è stato nominato guida del pellegrinaggio di tutti coloro che si recheranno all’evento. Speriamo che la celebrazione disegni un segno di fraternità universale nel cielo di Orano.02