Nel Discorso alla Città l’appello dell’Arcivescovo all’impegno per «un esercizio pubblico dell’intelligenza». Il Rettore: «Il nostro ateneo forma giovani che sviluppino la loro personalità per il bene proprio e altrui»

di Pino NARDI

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Il rettore Franco Anelli

«L’Università cattolica, per diffuso riconoscimento, è tra i protagonisti del dinamismo milanese come centro di elaborazione culturale e scientifica e per tradizione ha sempre destinato mezzi e risorse all’accoglienza degli studenti, mirando a offrire, attraverso il sistema dei propri collegi, non solo alloggio, ma soprattutto l’inserimento in un contesto comunitario e in un percorso educativo». Risponde così Franco Anelli, rettore dell’Università cattolica, all’invito rivolto dall’Arcivescovo, monsignor Mario Delpini, nel suo Discorso alla Città.

Il messaggio, infatti, richiama esplicitamente l’ateneo di largo Gemelli a essere sempre più motore di riflessione e di formazione di giovani pensanti. «Credo che saremmo tutti fieri – ha sottolineato l’Arcivescovo – se proprio qui a Milano si approfondissero riflessioni, si promuovessero confronti, si potessero riconoscere scuole e programmi, prospettive e responsabilità… Forse insieme possiamo coltivare un senso di responsabilità che ci impegna a un esercizio pubblico dell’intelligenza, che si metta a servizio della convivenza di tutti, che sia attenta a dare la parola a ogni componente della città, che raccolga l’aspirazione di tutti a vivere insieme, ad affrontare insieme i problemi e i bisogni, a recensire insieme risorse e potenzialità. Mi sembra significativo il contributo che a questa impresa hanno offerto e offrono i cristiani presenti nelle accademie della città e protagonisti della ricerca e della riflessione nelle istituzioni culturali della comunità cristiana».

Rettore Anelli, Autorizzati a pensare. Visione e ragione per il bene comune è il titolo del Discorso alla Città. Complessivamente come valuta questa scelta dell’Arcivescovo?
Ancora una volta l’Arcivescovo mostra un uso raffinato degli strumenti della retorica, nell’accezione di arte – tanto nobile da appartenere al trivium medievale – dell’espressione del pensiero. Nel ricordarci che siamo “autorizzati” a pensare, ci dice che abbiamo il dovere di pensare; la potenzialità non si traduce in pura libertà nell’esercizio dell’intelletto, ma in impegno a confrontarsi criticamente con il mondo, a sforzarsi di superare le apparenze e i messaggi fuorvianti, a costruire se stessi nella consapevolezza del rapporto con gli altri e dell’originario dovere di ciascuno di collocare i propri obiettivi e la propria azione nell’orizzonte del bene comune.

Nel Discorso l’Arcivescovo riconosce esplicitamente il contributo dell’Università cattolica per un’intelligenza che si metta al servizio della convivenza di tutti. Come risponde a questa sollecitazione a proseguire con sempre maggiore impulso l’opera dell’ateneo?
Ci onora il fatto che l’Arcivescovo abbia voluto citare l’ateneo, sede dei suoi studi giovanili e al quale è ora tornato come presidente dell’Istituto Toniolo. La missione educativa dell’ateneo è stata pensata dalle origini come sintesi di preparazione culturale, formazione professionale e crescita personale dei giovani. Il contributo che l’Università cattolica intende dare alla società italiana e alla cultura cattolica consiste nel seguire gli studenti nell’ultimo tratto della loro formazione, facendo in modo che essa sia anche preparazione alla vita e li renda cittadini e soprattutto persone compiute, solide, fiduciose nei propri mezzi e consapevoli delle attese che riponiamo in loro. È così che, secondo l’espressione di papa Francesco, gli atenei possono essere «cantieri di speranza».

Milano è capitale della cultura per la presenza di numerose università e luoghi di ricerca e di elaborazione del pensiero. Quale contributo offre l’Università cattolica a questo riguardo?
Mi pare che Milano oggi più che in passato si riconosca come “città universitaria”, cioè faccia esplicito affidamento sul valore delle sue università quale elemento che concorre a definirne l’identità e a progettarne traiettorie di sviluppo. Del resto, gli atenei milanesi, senza distinzione tra università statali e non statali, collaborano da anni efficacemente, contribuendo a fare della metropoli un centro di elaborazione culturale e scientifica e un luogo vivacizzato dalla presenza di decine di migliaia di studenti italiani e stranieri.

Da sempre l’Uc forma la futura classe dirigente. In un contesto come quello di oggi, dominato da populismi, paure e comunicazione emotiva, quale caratteristiche dovrebbe avere il giovane che si impegna per costruire il bene comune?
Parlare di formazione della classe dirigente è accettabile soltanto se si conviene che con ciò non si allude a un processo di forgiatura di carrieristi o burocrati, ma a una proposta formativa che offra alle nuove generazioni le conoscenze, le competenze e i riferimenti ideali necessari per assolvere responsabilmente i compiti civili ai quali sono destinati in un mondo che si trasforma sempre più velocemente; una classe dirigente formata da persone che, in altre parole, non siano frenate dalla logica dell’autoconservazione, ma desiderino, come diceva padre Gemelli, «perseverare nell’impresa che finisce mai»: sviluppare costantemente la propria personalità per il bene proprio e altrui.

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