Don Claudio Mainini, fidei donum ambrosiano nell’isola: «Qui si fatica a vedere segni esteriori della festa, ma se ne coglie il senso essenziale nell’incontro con persone che ogni giorno sperimentano che Dio è con loro nella lotta della vita»
di don Claudio MAININI
Fidei donum ad Haiti
Non si può raccontare il Natale senza entrare anche nella storia di un popolo.
In Italia la nostra cultura sul Natale è quasi millenaria. Quante opere si sono scritte! Poesie, canti, musiche, romanzi, film, a cominciare dal presepe vivente di San Francesco. Questo ha formato una mentalità, una cultura, un modo di celebrare il Natale che ha creato anche tutta quella atmosfera di attesa, di gioia, di familiarità, che in Haiti non c’è ancora.
Questo è un popolo che ha trovato l’indipendenza dalla schiavitù il 18 novembre 1803 dopo una grande battaglia e l’1 gennaio 1804 con la lettura dell’atto di indipendenza. Dalla schiavitù è passata a una delle più terribili dittature, durata più di trent’anni. Non ha mai avuto una vita politica tranquilla. La presenza del voodoo, portato dagli schiavi e alimentato dalla dittatura che ha inciso nella mentalità e nella cultura, non ha aiutato il radicarsi di alcune feste cristiane, soprattutto del Natale.
Il “nascondimento” che disintossica
Allora, se uno vuole disintossicarsi da luci, suoni, canti, ansia dei regali, corse, pranzi e cene, può venire in questa isola, perché di tutto questo non c’è nulla, se non qualche segno nella capitale. A me, che arrivo da Milano, stupisce vedere che il Natale è un giorno come tanti altri, e non c’è un momento per stare in famiglia. Anche qui, comunque, prima ancora che si radichino i segni della cristianità, tra poco saranno quelli del consumismo a fare capolino. Qualche timida manifestazione c’è già: qualche fila di luci (per chi ha la corrente) e molte richieste di regali (soprattutto da ricevere, non certo da fare). Segni lenti, perché la povertà di questa gente non permette di acquistare tante cose.
Certamente anche qui il Natale si farà spazio poco per volta, con le sue tradizioni e le sue contraddizioni, per opera soprattutto dei giovani andati a studiare nella capitale o di chi è andato a cercare lavoro e sta portando certe usanze anche nel nord-ovest del Paese, dove vivo.
Quest’anno il Natale cade di domenica: questo permetterà a più persone di venire in chiesa, perché la partecipazione alla Messa domenicale è più sentita nel cammino della vita comunitaria. Quello che manca, invece, è il senso dei tempi liturgici che aiutano a scandire la routine delle giornate e dei mesi. Qui la vita è dura e non permette molti fronzoli. Anche i bambini, fin dai 3/4 anni, devono lottare per la sopravvivenza. Tutta questa fatica rischia di rendere la vita molto “piatta”, tranne che per alcune piccole circostanze: gli anniversari dei vari gruppi, la festa patronale e Capodanno, molto festeggiato non tanto perché è il primo giorno dell’anno, ma perché ricorre la proclamazione dell’indipendenza.
Certamente, questo vivere il Natale con semplicità, povertà e “nascondimento” mi aiuta a disintossicarmi del troppo “buon Natale” e a valorizzare invece quei piccoli segni che mi dicono che è ancora Natale. C’è un po’ di nostalgia per certi aspetti del Natale “di casa”.
Fermento a Mare Rouge
Nella parrocchia dove sono, a Mare Rouge, la presenza dei fidei donum in questi anni ha contribuito a creare una certa mentalità, non ancora radicata, ma più forte rispetto a tante altre parrocchie circostanti, dove forse neanche i preti danno molta importanza al Natale e dove capita che il parroco quel giorno sarà altrove. Qui almeno c’è un po’ di fermento: la preparazione della Veglia della notte e della Messa del giorno di Natale, di un concerto, di una attività per i bambini e i ragazzi, di certo non di cenoni o pranzi familiari. Sono momenti pensati per dare un segno di gioia e serenità sia ai ragazzi, sia agli animatori, e alleggerire così la durezza della loro vita.
Diverso, come accennavo, è il clima nel primo giorno dell’anno. Qui c’è più il senso della festa familiare, dello scambio dei piccoli doni e dell’incontro con le altre famiglie. Dopo la Messa si canta il Te Deum e in diverse località si organizzano varie feste. Si commemora l’atto di indipendenza, che è più sulla carta che non nella realtà della vita, nella mentalità e nella cultura. A mio avviso non è ancora stato fatto quel passaggio importante dall’essere schiavi a diventare popolo: purtroppo sono mancati leader capaci di condurre la gente e aiutarla a sentirsi popolo. Spero che in futuro questo possa realizzarsi. Purtroppo vari leader miopi e le tante calamità naturali continuano a mettere il Paese in ginocchio, costringendolo a dipendere sempre e impedendogli di rialzarsi e camminare con le proprie gambe.
Il Natale qui da noi
In tutto questo scopro che è ancora Natale, per i bambini che, pur nella durezza della loro vita, sanno sorridere e gioire delle piccole cose.
È ancora Natale, per adolescenti e giovani che faticano a vedere un cambiamento e un futuro diverso da quello dei loro padri e delle loro madri, perché è difficile emergere in questa società, ma che lo stanno cercando con tutte le loro forze.
È ancora Natale, per adulti che lottano tra i loro piccoli affari per riuscire a guadagnare il necessario per mangiare e dar da mangiare per quel giorno.
È ancora Natale, per i tanti (troppi) che ogni giorno mi chiedono qualcosa per tirare avanti.
È ancora Natale, per i tanti anziani che incontro nei vari giri tra le loro case e che tante volte mi chiedo come facciano a vivere.
Forse esteriormente non è Natale, ma certamente incontro persone che hanno sperimentato e sperimentano che Dio è con loro nella lotta della vita, sperimentano la presenza del Dio fatto carne, che ogni giorno è con loro nel cercare le strategie per arrivare a sera con qualcosa nello stomaco.
Questo è il Natale qui da noi. Un Natale che fai fatica a vedere. Ma forse è proprio questo il senso. Un Dio che si fa uomo e che tu devi cercare perché è nascosto nella quotidianità e nella routine di tutti i giorni. Lui è li per dare senso a tutto questo e per dire a ogni uomo che nulla va perso ai suoi occhi, che ogni vita ha valore perché Lui è venuto per salvarla.
A nome di tutti i fidei donum vorrei rivolgere un grande ringraziamento a quanti ci sostengono in diversi modi, e a tutti dico «Buon Natale!». Che il Dio fatto uomo possa mostrarci la bellezza dei nostri giorni anche quando noi non la vediamo.