Il Vicario generale sul prossimo rinnovo dei Consigli pastorali: «Non guardiamo a queste scadenze come ad adempimenti burocratici: qualche fatica è innegabile, ma ci sono tanti spazi per lavorare insieme». E sulla Proposta pastorale dell’Arcivescovo: «Ci dice che un nuovo modo di confrontarci, animato dallo Spirito santo e nell’ascolto della Parola, può aprire a nuovi scenari»
di Annamaria
Braccini
Una Proposta che segue la dinamica dell’intero Anno pastorale, declinandosi in sei Lettere per altrettanti tempi liturgici. Prende avvio proprio da questo aspetto inedito la riflessione del Vicario generale, monsignor Franco Agnesi, sul pronunciamento «La situazione è occasione» offerto dall’Arcivescovo: «È una scelta molto interessante che ci riporta al vissuto delle nostre comunità, con le sue tante situazioni ed eventi, rileggendo nel tempo liturgico, da una parte, la fedeltà alla promessa del Signore che si rinnova ogni anno e, dall’altra, le tante domande e novità che abbiamo nel cuore e che ci rendono diversi anno dopo anno».
Cosa le è piaciuto di più in questa nuova Proposta?
Come ho detto, il riferimento all’anno liturgico, perché rasserena e dice che abbiamo davanti mesi da vivere nella quotidianità di un cammino condiviso e, poi, la scelta della Lettera ai Filippesi come sollecitazione a rileggerci come Chiesa. La concretezza e l’umanità che si esprimono in questa Lettera possono diventare occasioni per noi tutti, parafrasando il titolo dello scritto del Vescovo. La gioia – che non si può costruire ad arte – ha bisogno di un terreno favorevole: basterebbe riflettere su quante occasioni abbiamo ogni giorno, di fronte alle persone, per poter manifestare la serenità di un incontro piuttosto che la paura e la difesa. Questa Proposta ci dice che un nuovo modo di confrontarci, animato dallo Spirito santo e nell’ascolto della Parola, può aprire a nuovi scenari.
Insomma, un itinerario che può «farci dimorare nello stupore e renderci più leggeri», come ha detto più volte l’Arcivescovo…
Certamente. È lo stupore che nasce da ciò che Dio va operando ancora oggi nella nostra esistenza. Penso, per esempio, alle donne e agli uomini che, tutte le mattine, si rimettono in gioco di fronte a una situazione familiare o lavorativa fonte di sofferenza. È importante domandarci quanto amore e quale surplus di umanità possiamo mettere nei piccoli gesti che facciamo tutti, anche se, magari, non osiamo dirlo nemmeno a noi stessi. Potremmo così scoprire, attraverso il gesto minimo, tante sorprese di gratuità.
Testimoniare che «la gloria di Dio riempie la terra» implica una responsabilità. Qual è la più urgente che abbiamo come credenti?
Mi pare cruciale manifestare ciò che siamo, ossia una Chiesa consapevole, perché questo consente di rendere più vere e più buone le relazioni e i rapporti. Dobbiamo essere una Chiesa meno preoccupata di difendersi e di organizzarsi e più attenta alla quotidianità nella gioia dell’incontro, con la bellezza di un gesto di perdono, sapendo che quello che condividiamo con gli altri si moltiplica e diviene un dono per tutti. L’Arcivescovo parte sempre dalla contemplazione della promessa di Dio che incoraggia a camminare nell’amore che ci è chiesto, facendolo non da soli, ma insieme, perché anche questo ci è domandato. Il merito dell’Arcivescovo è quello di rendere le situazioni complesse, che tutti conosciamo, non solo questioni sociologiche o politiche, ma umane, trasformandole in occasioni per aprire alla creatività e per trovare soluzioni. È uno stile che mi pare davvero prezioso.
Tra gli adempimenti concreti che l’Arcivescovo indica – “Oratorio 2020”, il ripensamento del Decanato, la ricezione dell’Esortazione Christus vivit – c’è il rinnovo dei Consigli pastorali parrocchiali e di Comunità pastorale e dei Consigli degli affari economici, con le elezioni del 20 ottobre…
Occorre guardare a queste scadenze non come ad adempimenti burocratici, perché sono, invece, opportunità per sentire la corresponsabilità di tutti – penso in specifico ai laici – nella costruzione di un volto di Chiesa capace di annunciare il Vangelo. È innegabile che vi sia qualche fatica, ma ci sono anche tanti spazi per lavorare insieme. Talvolta ho l’impressione che si perda di vista il perché esiste il Consiglio pastorale. Consiglio che dovrebbe essere l’occasione in cui dire le tre cose essenziali che deve fare una comunità: pregare, celebrare l’Eucaristia e i Sacramenti; aiutare i ragazzi a comprendere la chiamata a dare la vita, ossia la loro vocazione; infine, rendere abitabile la terra e benedirla – come ama dire l’Arcivescovo -, compiendo gesti di fraternità. Naturalmente vi sono anche le strutture e le iniziative, ma vengono dopo, per così dire. Se prevale l’ansia e non la serenità o la leggerezza, non si capisce il senso autentico di ritrovarsi nel Consiglio pastorale.
Perché, nel testo, l’Arcivescovo pone una specifica attenzione ai Consigli degli affari economici?
Perché è un tema a tutti gli effetti pastorale, in quanto le questioni economiche toccano la vita della Chiesa ogni giorno, sia rispetto al suo volto, sia in riferimento all’esistenza della parrocchia stessa con le sue strutture. Tutto questo si offre come un grande campo di maturazione per le comunità. Quando si tratta di ragionare su come utilizzare le risorse o orientare un bene, occorrono professionalità, responsabilità e competenza di cui i laici, in tali Consigli, sono portatori con la speranza che possano esserne sempre più protagonisti. Il parroco, in questo senso, può essere «il buon padre di famiglia», valutando le scelte, ma non occupandosi di tutto.