Sono pagine sempre interessanti, quelle che il canonico De Beatis scrive agli inizi del Cinquecento nel suo viaggio attraverso l'Europa. Come spiega monsignor Buzzi, prefetto dell'Ambrosiana, in questo testo che costituisce la prefazione al libro oggi pubblicato dalle Edizioni Terrasanta.
di mons. Franco BUZZI
Prefetto della Biblioteca Ambrosiana
Il genere letterario del diario di viaggio è assai diffuso in letteratura. Lo scritto del canonico Antonio de Beatis al seguito del cardinale Luigi d’Aragona non ha grandi pretese letterarie, ma risulta certamente curioso e capace di tenere vivo l’interesse, perché il lettore è affascinato dallo sguardo, al tempo stesso ingenuo e smaliziato, di questo segretario che dipinge al vivo ogni cosa su cui si fermino i suoi occhi.
De Beatis, condividendo il concetto di una cultura a tutto campo, quale era stato proposto dal rinnovato umanesimo italiano, annota tutto ciò che abbia a che fare con la vita e il folklore delle popolazioni europee che furono toccate dai viaggiatori al seguito del cardinale Luigi d’Aragona. Infatti, questo nobile principe intraprese un lungo viaggio di diporto che durò poco più di sette mesi, dal 9 maggio 1517 al 26 gennaio 1518, assumendo Ferrara come punto di partenza e di arrivo. La comitiva raggiunse la Germania e, attraverso le Fiandre, passò in Francia per rientrare in Italia.
In effetti il nostro canonico non è preoccupato di presentare il complesso quadro politico europeo, che per altro traspare dal suo testo, né è interessato a descrivere la situazione religiosa che di lì a poco avrebbe sperimentato il profondo rivolgimento di costumi causato dalla Riforma di Lutero. Il suo atteggiamento spensieratamente sereno, pragmatico e razionale, di regola dispone la materia da un giorno all’altro, anzi dal pranzo alla cena successiva, trattandosi quasi sempre di ospitalità diverse, sempre accolte con animo grato.
Tra le tante curiosità raccontate dal de Beatis spicca l’incontro che la comitiva del cardinale d’Aragona ebbe con Leonardo da Vinci nella località di Amboise. Sappiamo infatti che nel 1516 l’artista fiorentino, che tra l’altro amava firmarsi “M° Leonardo fiorentino in Milano”, si trasferì in Francia, dove fu ospite onorato di Francesco I, che gli assegnò a dimora il castello di Cloux o Clos-Lucé. Il 10 ottobre 1517 il gruppo degli italiani guidati dal cardinale d’Aragona incontra Leonardo che, all’aspetto esterno, appare più anziano di quanto egli non sia. Infatti de Beatis gli dà più di 70 anni, mentre Leonardo allora ne aveva 65.
All’eccelso Leonardo viene riconosciuta tutta la sua maestria, anche se “una certa paralisi alla destra” gli impedirebbe a giudizio del nostro canonico di “pitturare” con la sua consueta delicatezza. Il maestro appare attorniato da alunni e da alcuni suoi capolavori, tra cui vengono nominati anche “una certa donna fiorentina”, vale a dire la Gioconda, e San Giovanni Battista giovane. Si esalta poi la sua capacità di disegnare e di insegnare agli altri. Si nominano esplicitamente i suoi disegni di anatomia, ma anche quelli di meccanica, capaci di riempire volumi e volumi.
Vale la pena di ricordare che l’attuale patrimonio più cospicuo al mondo dei disegni di Leonardo si trova all’Ambrosiana. Infatti il cosiddetto Codice Atlantico, che si compone di 1119 fogli che contengono almeno 2300 disegni, pervenne nel 1637 alla Biblioteca Ambrosiana di Milano, la quale ne sta facendo, proprio in questi anni, la prima mostra pubblica integrale.
Molte altre glorie d’Italia celebra il canonico de Beatis, tra le quali conviene ricordare alcuni preziosissimi manoscritti in pergamena, miniati e sontuosamente rilegati, contenenti i Trionfi di Francesco Petrarca o il suo Remedium contra adversam fortunam. Anche questo accenno ai libri di Petrarca costituisce un legame profondo con Milano e l’Ambrosiana, se pensiamo che nella prestigiosa biblioteca fondata dal cardinal Federico Borromeo nel 1603 è custodito il libro forse più prezioso al mondo in assoluto: il cosiddetto Virgilio del Petrarca, vale a dire il codice manoscritto che contiene tutte le opere di Vigilio con il commento del grammatico Servio e le preziose annotazioni a mano dello stesso Petrarca. Bastino questi pochi cenni e le suggestioni che essi evocano in noi per farci concludere che la cronaca di questo viaggio del cardinale d’Aragona si configura anche come vivida descrizione degli interessi culturali profondamente umanistici di una società colta, di ecclesiastici e di laici, a cavallo tra il XV e il XVI secolo.