Nell’Oratorio della Passione a Milano una mostra fotografica di Eliana Gagliardoni accosta chi vive tra le mura del carcere e quelle della clausura
di Luisa
BOVE
Donne che abitano due mondi lontani, ma paralleli. Nasce così l’idea di una mostra fotografica su chi vive tra le mura del carcere e della clausura. Gli scatti in bianco e nero di Eliana Gagliardoni non sono improvvisati, ma alle spalle c’è «un mio percorso spirituale: ho studiato le diverse tradizioni e religioni (buddismo, induismo…) e ho scoperto il valore della preghiera».
La mostra, che si intitola «Un mondo “dentro”», sarà aperta dal 9 al 19 gennaio nell’antico Oratorio della Passione, in piazza Sant’Ambrogio a Milano (in seguito sarà allestita anche al Museo diocesano).
«Quando ero piccola, come penso altre persone, mi chiedevo: “Ma le monache di clausura a cosa servono?”. Nei mesi scorsi ho avuto la possibilità di entrare in alcuni monasteri dove ho conosciuto donne di altissima levatura spirituale e posso dire che non è assolutamente vero che non sono in contatto con il mondo, sanno tutto quello che succede fuori, sono persone molto autoironiche (non l’avrei mai detto) e molto accoglienti».
Gagliardoni è andata dalle Benedettine di via Bellotti a Milano e da quelle di Viboldone, poi dalle Carmelitane scalze di Concenedo (Lecco). Nelle foto si vedono le monache immortalate in momenti diversi della giornata; l’unico scatto a colori le riprende all’aperto, durante la ricreazione, impegnate in attività manuali come il lavoro a maglia e l’uncinetto, mentre sopra di loro si vedono le nuvole a indicare lo spazio aperto.
«Il titolo “Un mondo ‘dentro’” ha due significati: dentro le mura e dentro se stessi», spiega la fotografa. Vivere in uno spazio chiuso, ristretto, aiuta o costringe a guardarsi dentro. E se da una parte la vita in monastero è una scelta, quella in carcere è subita. Ma è proprio vero che le monache perdono la loro libertà? Chi è fuori è davvero libero? Una detenuta può sentirsi libera anche se in carcere? Sono solo alcune delle domande che la mostra vuole suscitare. E ancora: che ruolo ha il silenzio? E la solitudine? Sia le monache sia le detenute abitano in celle, eppure ognuno vive in quello spazio in modo molto diverso. Guardarsi dentro può portare a scoperte e a talenti nascosti o ignorati. «Per esempio una monaca mi ha raccontato che lei prima di entrare in monastero non aveva mai disegnato, ora scrive le icone. Mentre suor Benedetta della croce della comunità di Concenedo, che aveva frequentato l’istituto artistico, dipinge su ceramica mettendo in opera la sua arte».
Quando Gagliardoni è entrata nella Casa di reclusione di Bollate è stata avvicinata da una donna rom che l’ha affiancata nel suo tour all’interno dell’istituto. Le detenute che ha fotografato erano anch’esse intente nelle varie attività o impegnate nel lavoro, come nel caso della cuoca e della parrucchiera.
I pannelli con le 50 fotografie contengono brevi riflessioni scritte dalle monache e dalle detenute, oltre a qualche pensiero di Edith Stein. Inoltre sarà possibile acquistare cartoline della mostra, il cui ricavato andrà a don Marco Recalcati, cappellano di San Vittore, per le necessità di detenuti in difficoltà.
La mostra è aperta da lunedì a sabato dalle 13 alle 19 e domenica dalle 10 alle 20. Ingresso libero.