Avevamo incontrato il grande scrittore e intellettuale italiano in occasione della riapertura al pubblico della Biblioteca Ambrosiana, nel 1997, oltre vent'anni fa. Ne era nata questa breve intervista sul tema dei libri cartacei e delle biblioteche, ancor oggi di assoluta attualità. La riproponiamo quale piccolo omaggio alla memoria dell'autore de «Il nome della rosa», a cinque anni dalla morte, avvenuta il 19 febbraio 2016.
di Luca
FRIGERIO
«È un periodo sventurato per il nostro patrimonio culturale, ma giornate come questa sono un raggio di speranza». Umberto Eco è uno dei più affezionati amici della Biblioteca Ambrosiana, affetto, come lui stesso confessa, di una malattia oggi sempre più rara e oscura ai più, la «libridine».
Alla riapertura del prestigioso istituto culturale milanese il professore di Semeiotica, ma universalmente celebre per «Il nome della rosa», non manca di sottolineare, con consueta sottile ironia, come il restauro e l’ammodernamento dell’Ambrosiana sia stato un lavoro esemplare, «a dimostrazione che intervenendo per tempo, le opere d’arte non vanno necessariamente distrutte».
Ma davvero, professore, ritiene che ancor oggi, alle soglie del Terzo millennio, le biblioteche siano utili e necessarie?
Senza dubbio. Perché in fondo il libro, dal papiro in avanti, ha preso la funzione che nelle società arcaiche era dei vecchi, cioè quella di trasmettere il sapere. Le biblioteche sono dunque legate al nostro passato, ma anche alla nostra vita presente. Senza contare che questi grandi depositi di «memoria vegetale», rispetto ai computer e alla loro «memoria minerale», hanno tuttora un grosso vantaggio: non si smagnetizzano.
Eppure nessun uomo, probabilmente, riuscirà mai a leggere, ad esempio tutti i libri che una biblioteca come l’Ambrosiana conserva…
Ma non è questo il punto. Per noi è già confortante sapere che queste biblioteche esistono. Anche nelle nostre case, l’importante è averli, i libri: a furia di spostarli, di toccarli, di spolverarli, si crea una sorta di osmosi, e dopo alcuni anni ci si accorge di sapere già che cosa vi è scritto, anche se non li si è mai letti.
Tuttavia il libro cartaceo sembra destinato a scomparire…
È una bestialità. Sono convinto che il libro godrà di ottima salute ancora per diversi millenni, perché si tratta di uno di quegli strumenti (come il cucchiaio, le forbici, la bicicletta…) che una volta che sono stati inventati non possono essere sostituiti da nient’altro di meglio quanto a funzionalità. Il libro è ancora il modo più facile, più comodo, più umano per trasmettere informazioni. È probabile che molti libri di consultazione, che oggi occupano interi scaffali, saranno presto sostituiti da piccoli dischetti: ma dove si andrà a prendere il materiale per «riempire» questi dischetti? E’ evidente: nelle vecchie eppur nuovissime biblioteche.
Ma che cosa è, per lei, una biblioteca?
È la cosa più vicina, tra quelle che noi conosciamo, alla mente divina. La metafora, in realtà, è di Dante, che nel 33° canto del Paradiso vede legato con amore in un volume ciò che «per l’universo si squaderna»: Dio, dunque, non è altro che questa totalità della conoscenza.
Professor Eco, ambienterebbe un suo prossimo romanzo tra le mura della Biblioteca Ambrosiana?
Non credo.
E perché?
È troppo luminosa.