È l'interrogativo, motivato dal dramma della guerra in corso, espresso dall'Arcivescovo all'inaugurazione della mostra sulla Passione nell'arte del Novecento, che al Museo diocesano presenta opere provenienti dai Musei vaticani

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di Annamaria Braccini

Museo Diocesano Carlo Maria Martini, visita alla mostra La Passione. Arte italiana del 900 dai Musei Vaticani

Una narrazione corale, capace di testimoniare, attraverso l’opera di 40 grandi protagonisti dell’arte italiana dagli inizi del Novecento fino agli anni Settanta, il costante interesse per i temi del sacro – in modo particolare, la Passione di Cristo e la sua risurrezione – come metafora del presente di ogni tempo e fonte spirituale inesauribile. È la sensazione che si prova nel visitare la bella mostra «La Passione. Arte italiana del ’900 dai Musei Vaticani. Da Manzù a Guttuso, Da Casorati a Carrà», che da oggi fino al 5 giugno arricchisce – con opere diverse, ma tutte di grande valore – il Museo diocesano “Carlo Maria Martini” nel suo ventennale. 

Il percorso espositivo – insieme altamente evocativo e concretamente temporale, centrato sullo svolgersi degli eventi dal tradimento di Giuda alla crocifissione, per arrivare alla risurrezione – accompagna il visitatore a riflettere sul Mistero cristiano, ma anche sulla vicenda umana di ogni tempo. Storia fatta di dolore e di speranza, compassione e dolcezza, buio della morte e luce di una risurrezione che può avvenire ogni giorno. Così in questi giorni il pensiero va subito alla guerra in corso, con il suo carico di lutto e di interrogativi, come osserva l’Arcivescovo inaugurando la rassegna. Accanto a lui, tra gli altri, la curatrice Micol Forti (responsabile della Collezione d’Arte moderna e contemporanea dei Musei vaticani), la direttrice degli stessi Musei Barbara Jatta, Nadia Righi (direttrice del Museo diocesano), il presidente della Fondazione Sant’Ambrogio per la Cultura Cristiana, il diacono Ugo Pavanello, e il vicario episcopale di settore, monsignor Luca Bressan.   

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L’intervento dell’Arcivescovo

Dopo aver espresso il proprio apprezzamento «per la qualità delle opere scelte, per l’allestimento, l’intensità del risultato e per la condivisione, la consuetudine e l’amicizia che si è stabilita tra il Museo diocesano e i Musei vaticani, che dice dell’elaborazione di un progetto che impegna in una visione comune», l’Arcivescovo Mario richiama quello che definisce «un secondo capitolo, più complicato e pieno di domande, ispiratogli dalla visione in anteprima della mostra. In questo momento, in cui ci sono fratelli che uccidono fratelli, la Passione di Cristo ci fa domandare se gli uomini sanno scrivere del dolore, raccontare del giusto ingiustamente ucciso. I quadri esposti qui dicono di sì. Gli uomini del ’900 hanno visto talmente tanto soffrire che sono stati capaci di commentarlo».

Riferendosi all’ideazione dell’esposizione, pensata in tempo di Covid, l’Arcivescovo ha continuato: «Adesso si inaugura la mostra in un tempo in cui la morte non viene da un virus misterioso, ma dalla volontà di persone, di donne e uomini, di un apparato che vuole vincere a costo della vita degli altri. Il senso di tragedia e di dolore si è trasformato in modo drammatico». Da qui un’ulteriore domanda. «Gli artisti sanno certamente raccontare il dolore con una modalità espressiva specifica, ma sanno anche raccontare la speranza? Il ‘900, forse, è diventato come afono, smarrito di fronte alla speranza: sa bene dire della morte, ma della risurrezione, della speranza e che la vita vada verso un esito capace di trasfigurare il dolore e la storia, sa parlare? Mi pare che su questa strada molti artisti del ‘900 vedano un’impossibilità a proseguire. Questa mostra ha, come ultima opera del percorso, il bozzetto della Resurrezione di Pericle Fazzini, che non è un lieto fine, ma un dramma che si trasfigura e che porta in sé il dramma di tutte le storie, ma anche la speranza. Io vorrei augurare a tutti coloro che la visiteranno e che ne parleranno, di comunicare che questo museo, che le persone che lo curano, che a Milano sanno come si scrive il dolore, ma anche come si scrive la speranza». 

La mostra

L’esposizione (leggi qui la presentazione), con il patrocinio della Regione Lombardia, del Comune di Milano, dell’Arcidiocesi di Milano – main sponsor Deloitte, media partner IGP Decaux -, è il nuovo capitolo nella collaborazione tra il MuDi di Milano e i Musei vaticani, iniziata nel 2018 con l’esposizione «Gaetano Previati. La Passione» e proseguita, nel 2020, con «Gauguin, Matisse, Chagall. La Passione nell’arte francese dai Musei vaticani», che ha inaugurato il primo di tre eventi espositivi pensati per il periodo pasquale e radunati attorno al titolo «Resurrezioni dello sguardo».

Non a caso, le sale centrali della rassegna sono dedicate alla rappresentazione della Crocifissione, declinata in molteplici varianti tecniche e interpretative, dalla tela di Gerardo Dottori del 1927 (tra le prime opere di Arte Sacra Futurista) al Crocifisso bronzeo di Giacomo Manzù del 1937, dai disegni di Renato Guttuso alla Via Crucis di Pericle Fazzini del 1957-1958 per la chiesa di Santa Barbara a San Donato Milanese. Lo stesso artista, molto amato da san Paolo VI, con cui – passando dalle svariate interpretazioni della Pietà e Deposizione – si conclude la mostra, presentando un bozzetto in bronzo preparatorio alla monumentale Resurrezione dell’Aula Paolo VI, destinata alle udienze pontificie e inaugurata dallo stesso papa Montini nel 1977 nel giorno del suo 80esimo compleanno. Proprio al Pontefice – che fu Arcivescovo di Milano – e alla sua attenzione per il mondo dell’arte contemporanea è, poi, riservata una sezione in riferimento anche al Piano Nuove Chiese. 

 

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