Una nuova edizione, ampliata e aggiornata, del testo di Ennio Staid, che offre una rivistazione affascinante, ma non semplicemente agiografica, del fondatore dei frati predicatori.
di Marco TESTI
«Nelle lunghe notti di preghiera trovò l’altra parte della verità che gli mancava. Comprese che ogni peccato gli apparteneva. Lui non era dissimile dagli altri uomini. Questa scoperta lo fece diventare il predicatore della Grazia, ossia dell’amore gratuito di Dio». Il santo che ci propone Ennio Staid, appartenente all’ordine dei predicatori, con questo San Domenico. Il fascino di un profeta attuale (San Paolo, nuova edizione ampliata ed aggiornata, 139 pagine) è lontano dalle agiografie che evitano l’incertezza, il peccato, la tentazione, in poche parole la sostanza umana dei santi.
Anche perché, e l’autore dedica giustamente molte pagine a questo episodio, il giovane Domenico, che era nato a Calaruega, in Spagna, nel 1170, dovette sostenere subito i conti con chi del corpo faceva unicamente una prigione dell’anima, una maledizione di un demiurgo malvagio: i Càtari. La sua missione in Provenza, terra in cui quell’eresia (ma molto più probabilmente era una diversa religione) aveva preso piede fu quella di mettere riparo all’emorragia di cristiani che passavano ai Càtari attratti soprattutto dalla coerenza tra la loro fede e la vita: soprattutto i “perfetti” vivevano in castità, povertà e preghiera, di fronte ad un clero che non sempre dava esempi di umiltà e continenza.
Domenico era la scelta giusta per questo tipo di battaglia: a poco più di vent’anni aveva venduto tutto, comprese le sue preziosissime pergamene, per soccorrere le vittime di una durissima carestia, dimostrando così di poter combattere gli albigesi con le loro stesse armi. Sarà Dante a ricordare, nei canti XI e XII del Paradiso, come tra il dodicesimo e il tredicesimo secolo, san Domenico e san Francesco rappresentarono il ritorno all’interno della Chiesa di intere masse che riconobbero nelle figure dei due santi quegli esempi di fedeltà al Vangelo che la gente cercava negli uomini di fede.
Staid vede nella missione in Provenza il punto di svolta nella vita di Domenico: nella notte trascorsa a dibattere con un oste passato dalla parte dei Càtari avviene una reciproca conversione: l’uomo fu persuaso a tornare all’antica fede, ma il missionario spagnolo restò per sempre colpito dal rigore e dall’adesione totale dell’oste ai principi di castità e povertà della sua setta.
Il Domenico di Staid è un uomo a 360 gradi, non un santino da cartolina, sente su di sé tutto il peso della grande crisi in cui si dibatteva la Chiesa, avverte i dubbi, i fallimenti, le speranze e le domande che qualsiasi persona sensibile del suo tempo poteva cogliere fuori e dentro di sé.
Ma anche in quella lontana scelta di vendere i libri per soccorrere i poveri l’autore vede un segno ben preciso, quello di liberarsi dalla schiavitù di una cultura fine a se stessa, dall’orgoglio sterile di saper dire belle parole e nulla altro.
Ciò che Domenico aveva in testa, e che lo avrebbe portato alla fondazione dell’ordine, era la sapienza del cuore, rafforzata sì dalla frequenza delle grandi università, ma continuamente alimentata dalla partecipazione al destino degli ultimi. Pagando un conto molto alto per quei tempi, e anche per oggi: costringersi a ripartire da capo ogni volta, rimettersi in viaggio ogni volta che si è raggiunta una meta: “Più i fratelli sarebbero rimasti nei conventi, più sarebbe stato difficile convincerli ad uscire e lottare là dove più forte è la battaglia della fede”. Il lavoro di Staid ci aiuta a capire come la strada di un santo non sia una improvvisa e facile scala verso il cielo, ma, al contrario, un itinerario di condivisione – fino a sentirle dentro – delle miserie degli uomini.