Il Premio Strega 2020 («Fame d’aria» è il suo ultimo romanzo) è tra i vincitori del Premio «Fuoco dentro». Pubblichiamo una sintesi dell’intervista apparsa sul numero di aprile de «Il Segno»
di Alberto
Galimberti
Il Segno, il mensile della Diocesi di Milano, nel numero di aprile ha pubblicato un’ampia intervista a Daniele Mencarelli, scrittore già Premio Strega, tra i vincitori del Premio «Fuoco dentro» (leggi qui). Ne pubblichiamo una sintesi.
Daniele Mencarelli è un poeta. Cesella le parole. Spoglia la vita. Interroga il mistero. Ingaggiando serrati duelli con il bene e il male. Nulla racconta, tutto mostra: linguaggio teso, a servizio della realtà. In gioventù, ha visto il dolore da vicino. Si è perso innumerevoli volte, ritrovandosi spesso a un palmo dal baratro della fine. Vinto prima da dipendenze ed eccessi; salvato poi dallo stupore della grazia. Sono seguiti successo e fama. Eppure lui è rimasto fedele a se stesso: persona sempre, personaggio mai. Qui, passando in rassegna alcuni temi fondamentali – dalla fragilità alla felicità, dal dolore alla disabilità, dalla sofferenza alla speranza -, restituisce la scoperta di ciò che conta veramente, ne attesta la verità. Ogni vita è una storia sacra.
Dai bambini dell’ospedale pediatrico ai ricoverati di un ospedale psichiatrico, lei dà voce e volto ai fragili: la vita vituperata dalla vulnerabilità. Sono presenze, ma nella società fondata sulle prestazioni e sulla perfezione, retrocedono a «scarti», citando papa Francesco…
I cosiddetti “scarti” sanno correre in soccorso del prossimo. Dentro questa umanità vulnerabile, aiutano chi ha bisogno; vivono i Vangeli; abitano coloro che sanno farsi carità senza pretendere nulla in cambio. Un’umanità che sa ancora obbedire al sentimento della compassione. Sembra un paradosso: chi sta male dovrebbe essere egoista; invece sa diventare prossimo. L’uomo che è toccato dalla prova ne conosce il peso, quindi cerca di sollevare l’altro da questo giogo.
La domanda sulla sofferenza sembra sempre orfana di risposta: perché Dio permette il dolore e la morte degli innocenti?
I bambini non sono fatti per il dolore, nascono dalla gioia. Quale strada invisibile per noi umani giustifica queste vite tolte al mondo? Nessuno ha la risposta: è un mistero. Dovremmo essere umili anziché presuntuosi, rifuggendo la superbia di Adamo di fronte all’Albero dei perché, alla seduzione del male che vorrebbe renderci padroni delle risposte. Sono un aspirante credente e un progressista tragico: credo nel progresso, quindi. Però nulla, neppure la più sensazionale scoperta scientifica, per quanto all’apparenza decisiva per il genere umano, scalfisce la grandezza del mistero. Oggi è l’enormità della vita a dare fastidio, il miracolo dell’unicità dell’individuo, mentre la scienza vorrebbe contenere, catalogare, censire. Con l’avanzare dell’età e la fine della vita terrena, come il protagonista di Elogio dell’Ombra di Borges, arriverà il momento delle risposte: questa è la speranza che abita e agita la mia ricerca. Un grammo di verità.
Foriera di traumi e tormenti, ma anche di bellezza e benedizione, la vita può essere un anticipo di beatitudine?
Tutto, in questa vita, invoca salvezza, ci chiede militanza. La gioia interrotta, l’amore alla prova della morte e del dolore. Fronteggiare l’orrore per sfondarlo. Abbiamo un impegno nella militanza, nell’essere presenti qui ed ora rispetto a sentimenti umani che non chiedono di essere spiegati, bensì vissuti. Non serve capire, ma condividere.
I giovani, dicono, sono incapaci di concepire il fallimento e sognare in grande…
Ho un’enorme stima dei giovani, appaiono indifesi, ma sono consapevoli. Indifesi perché aspirano a raggiugere certezze definitive: possedere il destino, conquistare il futuro, incontrare Dio. Invece, la “militanza” richiede la conversione quotidiana. Questa è una meravigliosa occasione per imparare dai propri fallimenti, fare tesoro di cadute, errori, sbagli. Vivere la militanza come rinnovata possibilità di salvezza anziché come condanna immutabile.
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