Sabato 24 giugno a Lecco il poeta e scrittore dialogherà con i partecipanti alla giornata nella quale l’Arcivescovo conferirà il mandato per la Gmg di Lisbona e per altre esperienze estive
di Letizia
GUALDONI
I giovani ambrosiani che partiranno per la Giornata mondiale della gioventù di Lisbona (vedi qui lo speciale) ed esperienze di missione, carità e servizio durante l’estate in Italia o all’estero (i cantieristi di Caritas Ambrosiana, i giovani di Giovani e Missione in partenza per le missioni del Pime o con l’iniziativa di «Csi per il mondo») riceveranno il “mandato” dall’arcivescovo Mario Delpini, a Lecco, sabato 24 giugno. Una giornata speciale con diversi ospiti, nella quale – tra laboratori, stands, workshop e confronti – potranno dialogare con il narratore e poeta Daniele Mencarelli e ascoltare la sua storia di sofferenza e insieme di speranza: le parole con cui le dà voce, con una potenza e una delicatezza uniche, sono un messaggio importante da comunicare ai giovani.
In questo appuntamento il poeta e scrittore – autore di Tutto chiede salvezza (una trilogia autobiografica, insieme a La casa degli sguardi e Sempre tornare), finalista al premio Strega, che ha ispirato l’omonima serie su Netflix, e del nuovo Fame d’aria (pubblicato anch’esso per Mondadori) – incontrerà i giovani presso il Politecnico di Lecco in tre diversi orari (alle 17, alle 18, e alle 19, a iscrizione, tutte le informazioni a questo link). L’abbiamo intervistato.
Il titolo della giornata è suggestivo «Prendi il largo… verso l’alto e verso l’altro». È l’incontro con gli altri che può aiutarci a uscire da noi stessi, superando i nostri problemi, riscoprendoci per quello che siamo veramente?
L’altro è alto e l’alto è altro, mi verrebbe da dire: quasi un gioco di parole che dice tantissimo. L’altro è quell’elemento non solo di sostegno, ma anche un grande banco di prova per chi ha a cuore il tema della salvezza. Se un uomo ha veramente a cuore il tema della salvezza non può pensare soltanto alla propria. Si parte da questa visione comune che ci salva: non mi salva, ci si salva. In questa grande scommessa e grande lavorio quotidiano attorno alla salvezza, l’altro è quello che devo salvare assieme a me, quello che – se non salvo – non metto al riparo neanche la mia, di salvezza. In fondo tutte le religioni su questo dialogano: esiste una salvezza orizzontale, verso l’altro, esiste cioè una salvezza dell’altro che poi schiude a quella salvezza verticale che magari è l’ispirazione di chi come tanti (a me verrebbe da dire come tutti), non si fanno bastare questo mondo e sentono e desiderano qualcosa d’altro. Senza questo banco di prova fondamentale, affettivo-sentimentale-amoroso, non siamo niente.
Nella tua vita hai attraversato un periodo di dolore, il tunnel oscuro in cui stavi sprofondando in cerca di una luce di salvezza è il punto di partenza dell’episodio autobiografico che ha portato a riflettere sul significato dell’esistenza e sulla fragilità, in Tutto chiede salvezza. A volte anche i ragazzi e i giovani affrontano fasi della vita di incertezza e fatica, e il Covid ha sicuramente acuito alcune situazioni…
Io temo sempre il dualismo, la divisione tra ciò che ci fa stare bene, ci realizza, e ciò che invece ci mette alla prova in senso negativo. Queste due dimensioni nella vita sono molto meno separate rispetto alla nostra immaginazione. In fondo è quasi sempre il nostro più grande amore che ci fa soffrire: soffriamo per le cose a cui teniamo, per le cose che non ci sfiorano neanche soffriamo. Quando incontro i ragazzi e i giovani (ne ho incontrati più di 75 mila), dico sempre loro che la pratica della vita e dell’esistenza fa vedere come sono proprio le cose che amiamo di più, a cui teniamo di più, che vogliamo più proteggere, vogliamo più amare, e che ci provocano, rispetto anche al dolore, tante domande. Questi dualismi io li vivo poco, nel senso che credo sia la nostra natura a produrre amore e tutti quei sentimenti che stanno dentro l’amore: se io amo veramente una persona ho desiderio di salvarla, di vederla viva, non mi basta una vita sola, e il fatto che questa salvezza non dipenda da me mi mette alla prova, mi induce a cercare, mi induce anche a soffrire… Credo che vada ristabilita una disponibilità dell’uomo ad amare veramente, e dentro l’amore a percepire quel limite naturale dell’amore che ha che fare con il dolore. Poi, altra cosa, esistono delle fasi (soprattutto in adolescenza, ma non solo) in cui magari nella ricerca di sé, nel tentativo di affermare un talento, nel tentativo di voler vivere la propria vita piuttosto che tutte le vite che in perfetta buona fede i familiari o tanti altri ti vorrebbero far vivere, si vivono tante forme di sofferenza; ma la sofferenza prima, quella che l’uomo vive in maniera più viscerale e radicale fin da quando si è bambini, è questa sofferenza che nasce dal desiderio di salvezza e nasce dall’amore. Questo ce lo dobbiamo ricordare un po’ più spesso.
Fame d’aria. Di cosa pensi che hanno fame i giovani d’oggi?
Secondo me hanno fame di un tema che è fondamentale: la natura, cioè ciò che è nato con loro, con noi, le vere domande di fondo, le domande sull’esistenza. Io dico sempre che nei giovani d’oggi c’è una rinnovata disponibilità ai temi dell’esistenza. Però servono persone davanti a loro che siano altrettanto disponibili: oggi c’è terrore, una totale destrutturazione umana, un analfabetismo di fondo rispetto ai temi dell’esistenza. E per parlarne, uno ce li deve avere a cuore, li deve vivere con la disponibilità con cui li vivono i ragazzi. Esistono adulti che ce li hanno a cuore e li vivono con quella intensità? Nel mio piccolo sento questo desiderio: dare una residenza a questi temi, dare una disponibilità, un dialogo comune che non faccia sentire chi vive questi temi per automatismo un malato. Chi vive questi temi non è un malato, è una persona viva».
I giovani che incontrerai a Lecco si preparano a partire per la Giornata mondiale della gioventù o per esperienze di missione e servizio: scelte per certi versi controcorrente di chi ha compreso che la vita è bella e ha senso solo se donata…
Chi parla male dei giovani è perché non li frequenta. Vivo tanto a contatto con i giovani perché li stimo profondamente, anche nel dolore, nella sofferenza e nella fragilità che provano (ma hanno una grande disponibilità a dialogare, confessare, discutere sulla propria fragilità); ma di fondo chi li giudica negativamente è perché non li conosce. Sono molto meglio dei loro genitori: vedo come si è sviluppata in loro una certa sensibilità al sentimento dell’accoglienza. Certo che se gli adulti sistematicamente offrono esclusivamente questa chiave di lettura – che è quella più tipica, banale, stereotipata – “i giovani son peggio di generazione in generazione”, peggiorano il mondo, il mondo sarebbe finito da secoli… In realtà un poco alla volta il mondo migliora, per quanto è possibile migliorare questo mondo che non sarà mai il paradiso. È una presa di consapevolezza, per andare incontro al mondo così com’è, ma con anche il desiderio di fare la propria parte, di migliorarlo, per quanto è possibile.
Questi giovani cercano, anche con il loro cammino di fede, un senso alla propria vita. Di quale salvezza abbiamo bisogno?
Credo che sia fondamentale riscoprire, ritrovare il gusto della comunità. Chi vive dentro un sentimento religioso, chi vive un’appartenenza, una frequentazione di questo tipo è quello che oggi ha perso di meno questa idea di esistenza come una comunità che va oltre il proprio piccolo nucleo borghese che mostra spesso tutti i suoi limiti. Nella sua concezione originale, Fame d’aria, il mio ultimo romanzo, mette luce su questo. La comunità riesce, vince laddove il piccolo nucleo familiare fallisce, proprio per una mancanza di braccia a disposizione, di relazioni, di forza, quella forza data dalla collettività e che non potrà mai essere data da un padre e una madre. Siamo fatti per vivere in maniera assolutamente più ampia rispetto a quanto sentiamo e pensiamo: il problema è far riscoprire questo sentimento e collettività. In fondo questi giovani che partono tutti insieme e si ritrovano tutti insieme sono già una risposta quasi eversiva rispetto ai tempi e anche su questo loro possono, e io spero lo saranno e sono dei testimoni di qualcosa che va ricercato e ritrovato. In fondo sono loro che portano avanti una testimonianza che è più grande e ampia. Questa grande novità la introducono loro. Questo credo sia straordinariamente importante. Poi si metteranno in cammino, e questa è la bellezza.
Fame d’aria – dove fai i conti con l’amore genitoriale – è un racconto che non risparmia nulla, sulle attenzioni e l’assistenza per prendersi cura di chi è più vulnerabile. Per andare incontro agli altri, e in particolare a chi ha più bisogno…
Questi giovani nuovi – che daranno vita a questa Giornata mondiale della gioventù e a tante esperienze di missione questa estate – hanno rispetto ai loro genitori e nonni anche mille alfabeti in più in termini di accoglienza e comprensione rispetto ai grandi temi della disabilità. Oggi come non mai e per i prossimi decenni questo tema sarà drammaticamente centrale nella vita di questo Paese. Ho visto come tanti ragazzi e giovani sostengano e abbiano a cuore la diversità, la disabilità, accogliendo il ragazzo con difficoltà, che magari vive un disturbo del neurosviluppo, con alfabeti nuovi che parlano d’accoglienza, riuscendo a relazionarsi con chi vive una forma diversa d’abilità e che magari vive lo spettro autistico (in Italia tra 500 mila e 700 mila famiglie vivono questo disturbo al loro interno). Vedere ragazzi così straordinariamente capaci di accogliere questa nuova frontiera d’umanità è un fatto di grande speranza. Sono capaci di capire che quella persona non si esprime molto con un linguaggio verbale, ma parla con gli occhi e il cuore, sostenendo e stando accanto a chi vive più difficoltà con grande delicatezza.
Quale messaggio desideri lasciare a questi giovani che incontrerai?
Il messaggio più bello credo sia vivere l’arte dell’incontro, di incontrare gli altri, tanto più apparentemente lontani e distanti, in realtà tanto più uguali a noi: riscoprire l’altro, scoprire le altre culture, le altre lingue, gli altri colori e vivere la diversità umana come un bellissimo mazzo di fiori che può avere mille colori a disposizione, mille profumi diversi, mille tonalità diverse. Essere consapevoli di questa straordinaria grandezza a disposizione da vivere, da incontrare. In quell’ottica poi che secondo me è la più bella da condividere: questa fratellanza, un sangue comune che unisce tutti, e che rende qualsiasi differenza e diversità una fonte di ricchezza, mai una fonte di lontananza o di allontanamento. Io penso che sia questo il sentimento più bello con cui partire e incontrarsi.
Chi è interessato ai libri di Daniele Mencarelli può visionare il link della Libreria Volante.
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