Nelle tracce del primo scritto, nella poesia (Quasimodo) come nella storia (la Grande Guerra e l'Europa di oggi), nelle dimensioni del dono (citazione di Enzo Bianchi) e della violenza (vedi Hannah Arendt), nel rapporto con la scienza (umanità e robot) e infine le periferie di Renzo Piano. Insomma, un confronto inevitabile con la modernità, da rivisitare criticamente

di Marco TESTI

Maturità

Non si può dire che dal Ministero non abbiano ascoltato quanti reclamavano una maggiore coerenza tra programmi ministeriali e le tracce del temutissimo primo giorno degli scritti. La maturità quest’anno ha tirato fuori, per la tipologia “Analisi del testo”, Quasimodo poeta, ed è già un passo avanti, rispetto ai nomi estranei al programma degli anni passati o ai poeti altrettanto famosi – e di programma – come Montale proposti però come prosatori, come è capitato nel 1912.

Quasimodo e l’ermetismo non sono frontiere invalicabili per un docente che deve fare conti salati con vacanze, assenze, malattie, autogestioni, ponti ed altri accidenti che sottraggono ore preziose allo svolgimento del programma. La lirica del siciliano, “Ride la gazza nera sugli aranci” non è certamente una delle più celebri, ma non si può avere tutto dalla vita.

Anche la tipologia B, quella riguardante la redazione di un saggio breve o di un articolo di giornale, non ha presentato grossi problemi: l’argomento del dono era anzi intrigante e in controtendenza rispetto alla cultura dell’aggressività e del profitto a tutti i costi, con quella citazione da Enzo Bianchi sul vero significato della libertà, la cui distorsione in senso individualistico ed edonistico ci sta portando alla triste cronaca familiare di questi giorni: libertà sì, ma di donarsi e offrire amore gratuito all’altro.

Anche l’argomento delle nuove responsabilità stavolta non appare calato dall’alto, ma scaturito da considerazioni affrontate durante il quinquennio in alcune discipline come la geografia antropica, l’educazione alla cittadinanza, la storia, la letteratura d’attualità.

Anche la violenza con le sue giustificazioni ideologiche è stato un argomento molto gradito in istituti e licei di ogni tipo, per due motivi: il riferimento alla prima guerra mondiale e al pacifismo, che rende la tipologia accessibile a sensibilità diverse e “trasversali”, e le citazioni da Benjamin, Arendt, Gandhi e Luther King che invitano a una più profonda riflessione gli studenti che hanno avuto a che fare con la filosofia, oltre che con una storia molto recente, non sempre raggiunta nel programma.

Se dovessimo cercare il pelo nell’uovo, ci sarebbe da ridire sulla fonte citazionale del discorso di King, che è – letteralmente – presa dal sito di un giornale, senza la precisazione della data e dell’occasione del discorso stesso. La manìa di andare sulla prima fonte che capita o comunque non di prima mano, e non la fatica di andarsi a vedere quella originaria, viene perpetrata anche laddove andrebbe insegnato il contrario: il sudore, ma anche la bellezza e la soddisfazione, della ricerca. Senza contare che in quelle parole di Hannah Arendt, citate nella traccia ed estrapolate dal contesto, Bergson ha sembra indicato come una delle origini, assieme a Nietzsche, delle teorie violente del Novecento, il che è profondamente ingiusto.

“Classiche” infine le questioni poste dall’ambito tecnico-scientifico (il rapporto tra umanità e robot), visto che molti studenti hanno potuto far ricorso a citazioni filmiche e letterarie da Huxley ad Asimov passando per Blade runner, mentre qualche difficoltà ha creato la tipologia C, vale a dire il tema storico: uno si aspettava la prima guerra mondiale, visto il centenario, ma il problema è che la traccia impone un confronto con il 2014, dando per scontata la conoscenza dei problemi socio-economici e politici del nostro oggi. Non ce l’hanno gli adulti, figuriamoci i nostri ragazzi bombardati dal consumo acritico a tutti i costi.

Anche il tema di ordine generale, la citazione da Renzo Piano sulla “scommessa” delle periferie come città del futuro, è stato apprezzato, anche se a qualcuno ha fatto venire i brividi: la periferia come è stata concepita da secoli di politica e di progettazione urbanistica è tutt’altro che una “grande scommessa”, semmai un pezzo di storia da non ripetere.

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