Il 22 maggio 1873 moriva l’autore de «I promessi sposi». Per Paolo Alliata, che ne scrive su «Il Segno» di maggio, il miglior modo di celebrarlo è rileggere il suo capolavoro, che ha molto da dirci anche oggi
di Paolo
Alliata
E se non sentiva tutto il rimorso che la predica voleva produrre (ché quella stessa paura era sempre lì a far l’ufizio di difensore), ne sentiva però; sentiva un certo dispiacere di sé, una compassione per gli altri, un misto di tenerezza e di confusione. Era, se ci si lascia passare questo paragone, come lo stoppino umido e ammaccato d’una candela, che presentato alla fiamma d’una gran torcia, da principio fuma, schizza, scoppietta, non ne vuol saper nulla; ma alla fine s’accende e, bene o male, brucia (I promessi sposi, XXVI)
Il cardinal Borromeo è impegnato a destare la flebile coscienza di don Abbondio, addormentata dentro l’unica costante preoccupazione di difendersi dalle insidie della vita (quella paura [che] era sempre lì a far l’uffizio di difensore). Per lui l’antica dottrina […] e non contrastata era sempre stata, nella sua mente, la difesa di se stesso, la custodia del proprio interesse, l’inclinazione a evitar fastidi; ecco che la reprimenda del Cardinale lo apre ad altro pensiero, la considerazione del male patito dagli altri, da Renzo e Lucia, a motivo della sua pavidità. Stava zitto come chi ha più cose da pensare che da dire. La sua coscienza intorpidita, come stoppino a lungo spento e desueto al calore del fuoco, stenta a pigliar fiamma dalla gran torcia della parola del Cardinale, ma un po’ per volta cede, e qualche sprazzo di ardor cristiano schizza anche da quel povero cuore.
La grande letteratura vuole essere la gran torcia che ci accende, scuotendoci dai nostri torpori morali e immaginativi, dalla smorta banalità che ci imprigiona. Vuole attizzare in noi più consapevoli e grati sguardi sulla vita così com’è, e far avvampare sogni e visioni sulla vita come potrebbe maturare, solo che ci ponessimo mano con più coraggio e determinazione, e mirando a qualcosa di più ampio che non il nostro immediato gretto tornaconto. La Parola di Dio, che vive e palpita non solo nelle Sacre Scritture, ma anche dove l’immaginazione profetica dei grandi artisti (scrittori, pittori, musicisti e così via) si apre ad accoglierla e la lascia lavorare, è impegnata ad accendere le lampade nelle nostre nebbie. La mezzanotte è vicina; lo Sposo non può tardare; teniamo accese le nostre lampade, conclude il cardinal Federigo, prospettando a don Abbondio il comune traguardo del tramonto della vita.
L’occasione dei 150 anni dalla morte di Manzoni può essere favorevole a una rilettura del romanzo, o di alcune sue parti che più amiamo. Torniamo alle pagine che ci hanno destato a una vita meno inautentica perché è un esercizio spirituale, perché le righe che danno parola al racconto del cuore umano, dei suoi tormenti e delle sue speranze, ci sollecitano a farci carico della nostra vita, a diventarne davvero responsabili.
Allora l’esercizio della lettura è fecondo, e vale davvero la pena essere di quei venticinque lettori.
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