Affacciato sul Ceresio, in quel "Piccolo mondo antico" raccontato da Fogazzaro, il tempio mariano sorge là dove avvenne il miracolo, l’11 maggio 1562. Il legame con san Carlo Borromeo e gli ampliamenti del XVII secolo che ne fecero uno scrigno di arte e fede.

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di Luca Frigerio

«Soffiava sul lago una breva fredda. Infuriata di voler cacciare le nubi grigie, pesanti sui cucuzzoli scure delle montagne. Ma qui a ponente, in fondo al lago, si vedeva un chiaro, un principio di calma…». Antonio Fogazzaro era vicentino d’origine, ma si proclamava valsoldese d’adozione. Amava la dolce solitudine di queste sponde del lago di Lugano, bramava la selvaggia malinconia della terra di Valsolda. E proprio qui volle ambientare il suo Piccolo mondo antico, dove ancor oggi sembrano vagare le anime inquiete di Franco e Luisa, della piccola Ombretta e della nonna arcigna.

Guardando in su, dalle rive spesso imbiancate dallo spumeggiare delle acque increspate, si vedono affiorare come nidi i paesi, immersi tra arbusti, circondati da rocce. Ogni campanile, ogni croce, indica un sacro luogo di vetuste memorie e di arte antica. La storia in questa zona racconta di una libertà orgogliosamente difesa. Da Carlo Magno in poi, la Valsolda ha respinto per nove secoli ogni invasore, italico o straniero. L’unica autorità riconosciuta e invocata fu quella dell’arcivescovo di Milano: da sempre quassù crebbe una fedele comunità ambrosiana.

In questo fiero scenario, un posto privilegiato è riservato al santuario di Nostra Signora della Caravina, nel territorio di Cressogno, al limitare della valle, affacciato sul Ceresio.

I documenti d’archivio sono precisi: nell’anno di Grazia 1562, addì 11 maggio, lunedì dopo l’Ascensione, due donne rincasando verso l’ora di pranzo vollero sostare presso la cappelletta della Vergine. Era questo un luogo campestre di serena quiete; qui un anonimo devoto, agli inizi del secolo, aveva eretto una modesta struttura sulla quale era stata dipinta l’immagine dell’Addolorata con in grembo il Figlio Gesù deposto dalla croce. L’edicola era chiamata dalla gente del posto “alla Caravina”, poiché sorgeva accanto al terreno smosso da una frana (“sgravina”, appunto), cosa non rara in queste parti. Già da tempo si mormorava piamente che questa sacra effigie fosse miracolosa, ma certo le nostre due donne mai si sarebbero aspettare di assistere a un simile prodigio: Maria piangeva e le lacrime rigavano il suo bel volto dipinto.

La notizia del miracolo riecheggiò per tutta la Valsolda, attraversò il lago giungendo alle orecchie dell’arcivescovo, Carlo Borromeo. Il santo non era persona da dare credito facilmente alle fantasie popolari, per quanto in buona fede fossero nate. Ordinò allora rigorose inchieste, facendo verificare ogni cosa, ogni dettaglio. Davanti a notai ed autorità ecclesiastiche testimoniarono i malati ormai guariti, sacerdoti ritemprati, miseri soccorsi. Ogni dubbio venne presto fugato e l’immagine della Beata Vergine della Caravina solennemente fu dichiarata “miracolosa”.

San Carlo stesso volle occuparsi della creazione del nuovo santuario, in cui custodire convenientemente il prodigioso dipinto, tornandovi poi pellegrino in diverse occasioni.

Di quel primo edificio, in realtà, non rimane nulla, poiché, in vista del primo centenario della lacrimazione, si decise di erigere un nuovo tempio, ancora più bello e più grande. Il progetto venne affidato a Carlo Buzzi, architetto di fiducia dei vescovi ambrosiani e noto in diocesi per avere a lungo lavorato nella Fabbrica del Duomo e per l’Ospedale Maggiore di Milano.

L’interno della chiesa attuale presenta una decorazione pittorica di gran pregio, per la maggior parte ben conservata. Vi operarono due maestri campionesi, assai rinomati nella seconda metà del XVII secolo: Isidoro e Gerolamo Bianchi, zio e nipote.

Isidoro, in particolare, è pittore di sicuro talento: discepolo e collaboratore del Morazzone, lavorò a importanti cantieri a Torino e a Lugano, dimostrando un vivace gusto narrativo. Nella cappella di sinistra del santuario, Isidoro rappresentò i “Cordellieri”, ovvero il mistico e fraterno incontro tra san Francesco d’Assisi e san Domenico di Guzman. Nella cappella di fronte, invece, è raffigurata la Madonna del Carmine, immagine ricca di significati simbolici spesso esaltata nei santuari mariani, ambrosiani e non solo. Anche il sottarco, con l’Incoronazione della Vergine, evidenzia nel segno e nei colori i felici accenti di un pittore di non comune sensibilità.

Altri famosi artisti dell’epoca contribuirono ad abbellire questo sacro edificio: come Giovanni Prando, nativo della vicina Porlezza, che pose mano ai vivaci stucchi barocchi; o come il Pozzi, ancora, al quale furono commissionate due eleganti tele raffiguranti l’Annunciazione e la Visitazione.

Ma, in fondo, a quanti si recano al santuario della Caravina in Valsolda non c’è bisogno di fare nessuna raccomandazione: immediatamente ci si rende conto dell’incantevole scenario in cui la chiesa è collocata, dell’ampio panorama che si gode dall’alto del sagrato, dove la vista spazia sulle acque lucenti del lago e dove la dimora di Maria appare teneramente protetta da cipressi e ulivi.

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