Una mostra dove pittori, scultori e grafici affermati sono stati chiamati a confrontarsi con i temi proposti dall'Arcivescovo Scola ne «Il campo è il mondo». Al Centro Culturale Manzoni, come iniziativa per la nascente Comunità pastorale "Madonna del Pilastrello", fino al prossimo 6 novembre.
di Luca FRIGERIO
C’è un campo e c’è una folla: come nella pagina evangelica. E ci sono volti, e mani e pensieri: come nella vita di ogni giorno. Con delusioni, amarezze, invocazioni: vaganti in tante teste, racchiuse nel cuore di ognuno. Quelle che accompagnano il popolo in cammino ritratto da Andrea Mariconti, anonimo e compatto, su una tela incisa da segni e tagli. Come graffi su anime in cerca di speranza.
Mariconti è uno dei sedici artisti, giovani o già affermati, tutti di provato talento, invitati a confrontarsi con la nuova lettera pastorale scritta dal cardinale Angelo Scola, Il campo è il mondo. Non un commento alle parole dell’Arcivescovo di Milano, ma semmai una reazione, a volte persino una provocazione, a partire dalle riflessioni di un testo offerto all’intera comunità ambrosiana, ai fedeli come a tutti gli uomini e le donne del territorio. Lungo quelle «vie da percorrere incontro all’umano», come recita il significativo sottotitolo della lettera stessa.
Appositamente realizzate per l’occasione, o individuate nei personali percorsi creativi, le opere – una ventina – sono state raccolte a Bresso in una mostra collettiva dal titolo L’uomo, bisogno e desiderio, come a cogliere l’essenza stessa della parabola su quel campo che è il mondo, e quindi come “sintesi” per immagini del messaggio del Vescovo alla Diocesi. Una rassegna che è stata ideata nell’ambito della tradizionale sagra cittadina dedicata alla Madonna del Pilastrello, antica e venerata immagine che darà il nome anche alla nascente comunità pastorale.
E davvero un campo rigoglioso appare la composizione grafica di Bruno Bozzini, dove decine e decine di teste si accalcano l’una sull’altra, ciascuna di esse, tuttavia, chiaramente definita nella sua identità, perfettamente distinguibile nel suo profilo. È la folla che accorre ad ascoltare le parole di Gesù, come ricordato nel vangelo di Matteo, spinta dal desiderio, appunto, di capire, di conoscere, di incontrare. O forse anche solo dalla curiosità, dall’emozione del momento. Così che quella folla assiepata sembra già l’immagine stessa della parabola, con il grano cresciuto insieme alla zizzania, con il buono mischiato al cattivo. Verrà il tempo della separazione e del giudizio: ma ora Cristo parla per tutti. Nessuno escluso.
Anche perché buon grano e cattiva zizzania sono in ognuno di noi, in fondo. In un miscuglio inestricabile, intimo, proprio della nostra stessa natura umana, fin dal peccato originale. Come ci ricorda Paolo Bellini, con il suo ritratto “doppio”, di luce e d’ombra, in positivo e in negativo. E come ci suggerisce anche Giuliana Nocco, con le sue due possenti figure, quasi michelangiolesche nella torsione, ancora incerte se abbandonare le tenebre della notte in cui si dibattono, eppure con lo sguardo già orientato verso l’alba di un nuovo giorno…
È per questo che il Seminatore, il padrone del campo, ordina ai suoi di non estirpare la malapianta. Quella zizzania che, del racconto evangelico, colpisce i discepoli più di ogni altro elemento, meno pronti, forse, a cogliere quanto di positivo vi sia nelle parole del Maestro. Una tentazione anche dell’uomo moderno, del cristiano di oggi, ammonisce l’Arcivescovo. E che Maria Teresa Carbonato esorcizza in una singolare inquadratura fortemente verticale: un cantiere con impalcature e ponteggi, metafora della nostra vita, di un costruire faticoso e difficile, eppure necessario, se si vuole puntare in alto. Le cattedrali sono nate così…
Il lavoro, del resto, è uno degli elementi comuni all’umana esperienza di ogni tempo e di ogni luogo, come ricorda il cardinal Scola. Gli altri due sono gli affetti (evocati nella tela di Daniela Pasqualin, ad esempio, nell’abbraccio fra padre e figlio) e il riposo (che diventa meditazione, festa domestica, attesa costruttiva nelle opere di Clapis, Fornasieri, Mauri e Strà).
Sedici differenti sguardi di bellezza, questi degli artisti della rassegna bressese. Che, ognuno a loro modo, si fanno testimonianza evangelica, interpretando bisogni e desideri dell’uomo in questo campo che è il mondo, dove Cristo ci guida e ci precede.