La mostra costituisce la seconda parte di un progetto triennale della Galleria dei gesuiti di Milano, dal titolo che riprende il celebre verso dantesco «… e quindi uscimmo a riveder le stelle». Fino al 7 luglio.

Ayumi San Fedele

La mostra, a cura di Andrea Dall’Asta S.I. e dei curatori del Premio San Fedele costituisce la seconda parte di un progetto triennale dal titolo che riprende il celebre verso dantesco “… e quindi uscimmo a riveder le stelle”. L’uomo ha sempre guardato alle stelle, al cielo come meta del proprio desiderio. Di fatto, “de-siderare” significa etimologicamente “smettere di guardare alle stelle” e di conseguenza sentirne la mancanza. Le stelle sono punti di riferimento essenziale per ogni uomo, se è vero che il navigatore che guarda alle stelle per orientarsi in un mare indifferenziato è il simbolo stesso dell’uomo alla ricerca di un porto sicuro, di un approdo. Per Dante, desiderare vuole dire avere nostalgia delle stelle, in quanto vero oggetto del desiderio, termine ultimo delle nostre azioni. Nella Divina Commedia pone significativamente la parola “stelle” alla fine di ogni cantica. Tuttavia, se nell’Inferno e nel Purgatorio lo stelle sono l’oggetto verso il quale si solleva il suo sguardo, nel Paradiso le stelle sono l’oggetto dell’azione di Dio: “l’amor che move il sol e le altre stelle”. Il desiderio implica un movimento, una tensione che spinge verso un luogo e un tempo originari, verso la nostra origine celeste (non veniamo forse dalle stelle?), da cui trae origine e senso ogni aspetto della realtà. 
Pubblichiamo un’introduzione alla mostra del direttore della Galleria San Fedele, padre Andrea Dall’Asta.

I giovani artisti hanno presentato i lavori e una giuria ha selezionato le opere che saranno premiate il 23 maggio. Il tema dell’anno, il viaggio, tante volte declinato nella letteratura, nell’arte o nel cinema, è stato esemplificato dai giovani autori a partire da molteplici e originali punti di vista.

Marco La Rosa, per esempio, con Il migliore dei mondi possibili, presenta una vera e propria riflessione filosofica. Attraverso un’installazione mostra cinque particolari figure geometriche: i poliedri regolari, meglio conosciuti con il nome di solidi platonici, già citati dal Timeo di Platone. Non si tratta semplicemente di solidi geometrici, ma di figure cariche di fascino e di mistero. Sono solidi certo. Tuttavia, presentano particolari caratteristiche. Sono solo cinque e inscrivibili in una sfera. Hanno facce, spigoli e vertici uguali. Il numero delle loro facce è tuttavia diverso, in una sorta di viaggio da ciò che è più complesso a quanto invece è più semplice. Non solo, nella cultura dell’Occidente, i poliedri sono stati associati ai quattro elementi fondamentali e alla quinta essenza, per essere poi assimilati alla struttura dell’universo e al moto dei pianeti… Il materiale scelto per realizzare i solidi è il piombo, metallo molto resistente agli agenti corrosivi che ha un lento processo di ossidazione che ne altera continuamente la patina. Un viaggio compiuto dai metalli, dunque. I poliedri sono esposti in cinque teche dalle medesime dimensioni, quasi fossero stati pensati per una Wunderkammer. Tuttavia, variano le altezze, concepite secondo alcuni parametri, in relazione all’elemento fondamentale che rappresentano: universo, terra, aria, fuoco ed acqua – oppure l’orbita dei pianeti a cui sono associati: Saturno, Giove, Venere, Terra, Marte. Si tratta dunque di “pure forme” che permettono di compiere un viaggio filosofico, nella storia, nella nostra percezione, attraverso il cosmo…

Completamente diversa è l’opera di Giorgio Tentolini L’uomo che cammina. È un lavoro che presenta numerosi riferimenti, da Masaccio a Pellizza da Volpedo, a Giacometti. È la rappresentazione di un giovane uomo nudo che avanza, deciso, come se si inoltrasse verso il futuro, in un viaggio per una presa di consapevolezza di se stesso, delle sue possibilità. Viaggio alla ricerca di un senso, di un significato da dare all’esistere. L’opera è costituita dal sovrapporsi di numerose reti che, forate dall’autore, lasciano intravedere un corpo umano, trasfigurandone la figura. Il lavoro si presenta dunque come una sindone che dal passato raggiunge il nostro presente.

Ancora diverso è il viaggio di Ayumi Kudo che attraversa 195 paesi del mondo, grazie a un libro illustrato. La giovane autrice cerca di fare emergere emozioni, speranze, nel desiderio di suscitare un sorriso in chi lo guarda, cogliendo per ogni paese un tratto specifico dalla religione, dalle singole tradizioni. È un viaggio pieno di vitalità, di speranza e di dolcezza. In una sorta di grande festa collettiva, la giovane giapponese ci invita a eliminare le barriere tra i diversi popoli, nel riconoscimento di una fanciullezza comune, da cui riprendere un dialogo che troppo spesso si interrompe. Ancora molto diverso è il viaggio che Aliza Veneziano compie a San Salvi, ex-ospedale psichiatrico di Firenze. Se Dante, compiuto negli Inferi un viaggio attraverso le tenebre, ritrova le “stelle”, simbolo dell’armonia divina, la giovane fotografa ci conduce in questo “inferno”, per rivelarci tuttavia un ordine, una bellezza. È come se attraverso la macchina fotografica tutto fosse trasfigurato. Da luogo di sofferenza, il manicomio abbandonato si trasforma in spazio capace di sprigionare serenità e pace, come a suggerirci che le stelle possono essere ritrovate anche in un luogo carico di dolore.

Si tratta dunque di viaggi tra loro molto diversi, che cercano di interpellarci sul cammino che stiamo compiendo nella nostra vita, invitandoci a riflettere su quale desideriamo orientarci.

Andrea Dall’Asta S.I.
Direttore Galleria San Fedele

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