Era il 7 giugno di 102 anni fa, nel pieno della Prima guerra mondiale: una terribile esplosione in una fabbrica di munizioni a Castellazzo di Bollate causò almeno 59 vittime e oltre 300 feriti. Tra i soccorritori anche il giovane Hemingway. Una storia a lungo dimenticata e rimossa, oggi ricostruita grazie alle ricerche del parroco.

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di Luca FRIGERIO

Donne al lavoro, in un reparto di inizio Novecento. Indossano un semplice grembiule, con gli zoccoli o a piedi nudi. I volti paiono concentrati in un’operazione delicata: maneggiare proiettili ed esplosivi. Ma a qualche operaia scappa un sorriso, mentre qualcun’altra guarda con aria quasi di sfida verso il fotografo (Luca Comerio, uno dei migliori dell’epoca). Chissà quanti di quei sorrisi sono stati spenti quel giorno. Chissà quante di quelle giovani vite sono state distrutte, in un attimo, in un inferno di fuoco…

Questa è la storia di uno dei più gravi disastri sul lavoro mai accaduto in Italia. Avvenne poco più di cento anni fa, il 7 giugno 1918, quando una tremenda esplosione nella fabbrica di munizioni Sutter & Thévenot a Castellazzo di Bollate, nel milanese, causò 59 morti accertati e oltre 300 feriti, per la quasi totalità donne. Una vicenda che è stata a lungo rimossa e dimenticata – anche se era stata raccontata da un testimone d’eccezione, lo scrittore americano Hemingway – e che è stata riportata alla luce solo da pochi anni, grazie alle ricerche dell’attuale parroco del posto, padre Egidio Zoia.

Siamo in piena Prima guerra mondiale, sette mesi dopo la disfatta di Caporetto, sei mesi prima della vittoria finale, e lo sforzo bellico del Paese è al suo massimo grado. Nella campagne di Bollate si fabbricano bombe, su licenza della premiata ditta elvetico-francese. Il personale, circa mille e cinquecento addetti, è soprattutto femminile, con lavoratrici che vanno dai 13 ai 30 anni: questo perché gli uomini sono per lo più sotto le armi, ma anche perché occorrono mani piccole e svelte per assemblare quei micidiali ordigni. E poi le donne fanno risparmiare, è risaputo, e all’epoca nessuno si scandalizza se un’operaia viene pagata meno del collega maschio, a parità di ore e di mansione.

Castellazzo si trova in posizione strategica per ospitare una simile produzione: vicino alla linea ferroviaria per Milano, comoda con caserme e depositi militari, ma allo stesso tempo piuttosto appartata, tanto da non dare nell’occhio a possibili sabotatori, e lontano dalla città e dai grossi centri abitati: gli esperti del Ministero della Difesa lo mettono nel conto, che un incidente, in una fabbrica del genere, può sempre avvenire… E infatti avvenne.

Cosa esattamente sia successo ancor oggi non lo si sa, e probabilmente non verrà mai accertato. Quel 7 giugno era un venerdì, giorno di paga. Lo scoppio si verificò nel reparto spedizioni, dove era ammassata una grande quantità di bombe in attesa di partire per il fronte. Il boato fu tremendo e fu udito anche a trenta chilometri di distanza, mentre le case dei paesi attorno – Bollate, Senago, Garbagnate, Arese… – tremarono come per un terremoto e i vetri di molti edifici andarono in frantumi. Mancavano pochi minuti alle due, dopo pranzo.

I soccorsi si attivarono subito, soprattutto dai borghi limitrofi (con i sacerdoti della zona in prima fila a portare aiuto e conforto ai feriti), ma la confusione era totale e una fitta nube di fumo avvolgeva ogni cosa sul luogo dell’esplosione, mentre piccoli e grandi incendi divampavano in vasti settori. Ovunque erano macerie e distruzione, senza contare la paura per nuove esplosioni che potevano innescarsi in altri depositi della fabbrica.

Da Milano nel pomeriggio giunsero i mezzi della Croce Rossa. Tra i soccorritori c’era anche Ernest Hemingway, arrivato a Milano quel giorno stesso da Parigi: lo scrittore diciottenne non aveva potuto arruolarsi nell’esercito americano per problemi alla vista, ma vestiva comunque l’uniforme e calcò i campi di battaglia come autista di ambulanze e barelliere.

Hemingway ha lasciato pagine intense di quella terribile giornata, nel racconto Una storia naturale dei morti, pubblicato vent’anni più tardi. La sua sorpresa più grande fu di constatare che quelle povere vittime erano in massima parte donne e ragazze: la guerra, fino ad allora, gli era sembrata “roba da uomini”, mentre ora improvvisamente, tragicamente, si rendeva conto che non risparmiava davvero nessuno… «Ricordo – scrive il romanziere statunitense – che dopo aver frugato molto attentamente dappertutto per trovare i corpi rimasti interi ci mettemmo a raccogliere i brandelli. Molti di questi furono staccati da un fitto recinto di filo spinato che circondava l’area dove prima sorgeva la fabbrica: illustravano fin troppo bene la tremenda energia dell’alto esplosivo».

Ciò nonostante, sulla strage di Castellazzo di Bollate calò il più assoluto silenzio. Il governo italiano mise la sordina alla notizia, che quasi non fu ripresa dai giornali del tempo per non colpire il morale della patria combattente. Mentre i parenti delle vittime si chiusero in un dolore rassegnato, cercando perfino di rimuovere il ricordo di quell’immane disastro che aveva causato il sacrificio di tanti innocenti.

La fabbrica di esplosivi fu smantellata subito dopo la fine della guerra, e anche questo contribuì a far scendere l’oblio sulla triste vicenda. Rimane una lapide all’ingresso del locale cimitero, in memoria delle povere vittime, che oggi, forse, possono finalmente riposare in pace.

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