L'«Ecce Homo» è un capolavoro inedito di Giulio Cesare Procaccini, esposto per la prima volta al pubblico come introduzione della Settimana Santa. Per gli studiosi è l'anello mancante nella formazione giovanile del pittore.

di Luca FRIGERIO

Giulio Cesare Procaccini Ecce Homo

«Ecco l’uomo». Con gesto come da imbonitore, solenne e beffardo a un tempo, Pilato ci mostra il Re dei Giudei, fissando i suoi neri occhi su noi spettatori. Uno sguardo che ci inchioda, quasi che noi stessi, proprio ora, fossimo chiamati a decidere il destino di quel maestro che predicava nelle strade e nelle piazze, che si dice avesse compiuto miracoli inauditi, che si era proclamato figlio di Dio… «Guardate», dice il governatore romano. Prendetevi voi la responsabilità che io non posso e soprattutto non voglio assumermi. Pilato il cercatore della verità, ma che in fondo preferisce lavarsene le mani. Pilato simbolo di un’autorità che si vanta di essere giusta, ma che alla fine cede alle urla della folla…

È un capolavoro, questo Ecce Homo presentato in questi giorni al Museo Diocesano a Milano. Un capolavoro ancora più affascinante perché inedito, sconosciuto, mai visto prima. Il dipinto, stilisticamente e ragionevolmente attribuito a Giulio Cesare Proccacini pur nell’assenza di una precisa documentazione, appartiene infatti a una collezione privata che per la prima volta ne ha concesso l’esposizione pubblica. E che diventa, oggi, come una sorta di coinvolgente introduzione meditativa per immagini ai misteri della Settimana santa.

Procaccini, dunque. Lo afferma la pennellata, elegante e sinuosa. Lo denuncia il gusto cromatico, smagliante di calde tonalità. Lo rivela l’espressività dei volti, la sensualità dei corpi, la preziosità dei dettagli. E quasi certamente proprio Giulio Cesare, ultimo nato di quella celebre famiglia di pittori bolognesi – Ercole il padre, Camillo e Carlo Antonio i fratelli – che nel 1585, pochi mesi dopo la morte di san Carlo, si trasferirono a Milano in cerca di allori e commissioni, trovando ben presto gli uni e le altre.

Anzi, questo Ecce Homo, secondo gli studiosi che l’hanno esaminato, potrebbe addirittura rappresentare il tanto cercato “anello mancante” nella produzione del giovane Procaccini. Proprio quell’opera, cioè, che segna il passaggio fra la formazione di Giulio Cesare e la sua fase più compiuta, più moderna, più convincente. Il capolavoro, ovverossia, che giustifica quell’apparentemente “improvviso” entusiasmo dei fabbriceri del santuario milanese di Santa Maria presso San Celso, che gli affidano un importante ciclo di affreschi.

Giulio Cesare Procaccini, del resto, aveva esordito come scultore. E dando buona prova di sé. Ma, con decisione irrevocabile, nel 1599 aveva annunciato che si sarebbe dedicato esclusivamente alla pittura. E per dimostrare che faceva sul serio, cominciò un lungo viaggio di studio, che lo portò a Roma ad ammirare Raffaello e Michelangelo, a Venezia a studiare Paolo Veronese e Tiziano, a Parma a lasciarsi ispirare dal Correggio. Ma il che vuol dire che sulla sua strada potrebbe avere incontrato anche l’astro nascente Caravaggio, l’acclamato Annibale Carracci, l’indaffaratissimo Rubens… Maestri i cui accenti, chi più, chi meno, ritroviamo proprio nella pittura del Procaccini, ed in specie in questa sua rivelata tela a tema sacro.

Pilato, dunque, abbigliato alla turca, con tanto di turbante e di zimarra: come se, da governatore romano, si fosse adattato a far da lacchè ai nuovi dominatori di Gerusalemme, che nel Seicento sono appunto gli ottomani. Accanto a lui due sgherri che, con mossa scenografica (ma qui tutto è già teatro, rappresentazione, dramma), sollevano d’un colpo il telo che copre Gesù (già anticipazione del sindonico lenzuolo), mostrando irridenti, i volti stravolti in ghigni osceni, da satiri, da maschere, la figura eburnea del Salvatore. Come vuole la pagina evangelica di Giovanni, al re dei Giudei è stata imposta la corona di spine, mentre fra le mani incrociate tiene la canna con cui è stato percosso, scettro da burla, i fianchi cinti del manto purpureo.

Sì, «Ecco l’uomo», esclama Pilato, segnandocelo a dito. E, seppur inconsapevolmente, sembra quasi mimare il gesto che fu del Battista, a indicare l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo. L’agnello condotto al sacrificio nella redenzione della nuova Pasqua.

Confronti, percorsi, approfondimenti
Il capolavoro inedito di Giulio Cesare Procaccini Ecce Homoresterà esposto al Museo Diocesano a Milano (corso di Porta Ticinese, 95) fino al prossimo 27 maggio. (orari: da martedì a domenica, 10 – 18; tel. 02.89420019 – www.museodiocesano.it).
L’iniziativa si inserisce a pieno titolo nel programma del Museo Diocesano che intende approfondire il contesto figurativo nel quale nascono le opere che appartengono alla sua collezione permanente. Nel percorso espositivo, infatti, è presente anche un’altra splendida opera di Giulio Cesare Procaccini, la
Pietào Compianto su Cristo morto: un dipinto che, proveniente dalla Quadreria arcivescovile, può essere assegnato alla tarda produzione del pittore bolognese, dove la figura scultorea di Gesù rivela ancora una volta la matrice rubensiana della sua opera.

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