"L'incoronazione della Vergine" è un capolavoro commissionato nel 1492 per una chiesa di Napoli, giunto per vie misteriose nel capoluogo lombardo. Restaurato dalla parrocchia, oggi il magnifico dipinto è esposto in un'apposita sala.

Befulco Rid

di Luca FRIGERIO

La chiesa di Santa Maria Segreta a Milano conserva uno straordinario, meraviglioso “segreto”, che è tempo che sia conosciuto, condiviso e ammirato da tutti: la sua magnifica Incoronazione della Vergine.

Si tratta di una tavola di notevoli dimensioni (quasi due metri di base per un metro e settanta centimetri d’altezza), dipinta a colori smaglianti (che si possono godere grazie anche al recente restauro fatto eseguire dalla parrocchia stessa) e affollato di personaggi. Lo stile, sontuoso ed elegante, dai vivaci richiami iberici, ma non privo di evidenti citazioni fiamminghe, denuncia immediatamente la sua provenienza “meridionale”, a quel regno aragonese, cioè, che sul finire del XV secolo fece di Napoli una grande capitale europea, crocevia nel Mediterraneo di culture, popoli e tradizioni.

L’opera, infatti, è stata messa in relazione con il retablo commissionato il 5 ottobre del 1492 per la chiesa di Santa Maria delle Grazie a Caponapoli, come attesta il contratto giunto fino a noi, a “Pietro Buono”: un pittore che, dopo un intrigante dibattito critico, può oggi ragionevolmente essere identificato con quel Pietro Befulco, salernitano, che era attivo a Napoli proprio in quegli anni (un confronto con l’unico suo dipinto firmato, quello di Santo Stefano, datato al 1490 e conservato al Museo di Capodimonte, risulta in questo senso risolutivo).

Al centro della scena vi è Maria, in ginocchio, le mani incrociate sul petto in quel gesto di umile e docile obbedienza alla volontà divina che già aveva professato nel momento dell’annuncio dell’arcangelo Gabriele. Come allora, sulla testa della fanciulla, per sempre “piena di Grazia”, ancora una volta discende lo Spirito Santo in forma di colomba, mentre la Vergine sta per essere incoronata dal Padre, a sinistra per chi guarda, e dal Figlio. L’Eterno alza la mano destra nel gesto di benedizione; Gesù, invece, usa entrambe le mani per porre la corona sul capo di Colei che è al contempo sua madre e sua sposa, guardandola con affetto e ammirazione: quasi con emozione, verrebbe da dire. Anche lui calza una corona principesca, ma indossa soprattutto il pallio del supremo ed eterno sacerdote.

La Trinità con Maria è racchiusa in una mandorla di luce, che ha i riflessi dell’oro e che sembra pulsare come un cuore fiammeggiante, simbolo dell’amore divino e dell’infinita misericordia. Attorno, a far letteralmente “da corona”, ancora una volta, gli adoranti cherubini; e poi una schiera di angeli, che suonano e che cantano, innalzando le lodi alla Regina del Cielo. Ai lati, infine, riconosciamo la figura di san Giovanni Battista, che china il capo e leva il dito a indicare, come sappiamo, «l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo», e ora anche Colei che ha permesso che il Redentore giungesse tra gli uomini; e quella di san Gerolamo, con il libro aperto fra le mani e il leone amico, a ricordare colui che traducendo le Sacre Scritture in latino ne ha permesso la diffusione nella cristianità d’Occidente.

L’intera rappresentazione appare regale e fastosa, in particolare nelle vesti. Come gli sfarzosi estofados quattrocenteschi, i cui elaborati motivi floreali non sono soltanto decorativi, ma anche eloquentemente simbolici. Si può osservare, inoltre, come Maria sia rivestita dei medesimi abiti del Padre e del Figlio, e infine ammantata di bianco, a ricordare la sua virginale purezza e la sua condizione di eletta fra tutte le donne.

Insomma, un capolavoro straordinario. Reso ancora più affascinante dal completo mistero che lo avvolge riguardo alla sua presenza a Milano: nulla si sa, infatti, del perché e del quando quest’opera sia giunta a Santa Maria Segreta. Se diversi, infatti, sono i contatti e i legami tra il ducato sforzesco e il regno aragonese negli ultimi anni del Quattrocento, così come gli scambi culturali tra il capoluogo lombardo e la capitale partenopea, sembra poco probabile che questa tavola sia arrivata a Milano in epoca rinascimentale, mentre pare più verosimile un acquisto sul mercato antiquario, dopo le dispersioni ottocentesche che colpirono la chiesa di Caponapoli.

Come denso di suggestioni è il contesto cronologico. Pensare, cioè, che mentre Pietro Buono a Napoli poneva mano a quest’opera, Cristoforo Colombo scopriva un nuovo mondo, mentre Leonardo da Vinci non avrebbe tardato a creare il suo Cenacolo nel refettorio milanese delle Grazie.

Questo capolavoro oggi è esposta in modo permanente in un’apposita sala climatizzata adiacente alla sacrestia di Santa Maria Segreta a Milano (piazza Tommaseo). Per concordare le visite si può contattare la segreteria parrocchiale (tel. 02.436240). Informazioni sul sito www.santamariasegreta.it

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