Promossa dal Comune insieme con la Galleria degli Uffizi di Firenze in occasione del VII Incontro mondiale delle Famiglie, la mostra resterà aperta fino al prossimo 27 giugno. Proponiamo qui una lettura del capolavoro "ritrovato" di Federico Barocci.
di Luca FRIGERIO
Arriva dagli Uffizi, il capolavoro che accoglierà a Bresso le famiglie che sabato 2 e domenica 3 giugno giungeranno da tutto il mondo per l’incontro con papa Benedetto XVI. Si tratta di un’opera di Federico Barocci, realizzata probabilmente sul finire del XVI secolo. Un capolavoro, appunto, seppur poco noto. Ma c’è una ragione della sua scarsa notorietà. Questo dipinto, infatti, è una pala d’altare che si credeva perduta («distrutta in un incendio», si diceva), e che invece è stata incredibilmente recuperata pochi anni fa, ed è tornata quindi come a rivivere.
Il soggetto dell’opera è piuttosto raro, ma di grande fascino. E coinvolge non una, ma addirittura due famiglie.
Elisabetta
Mostra Elisabetta, infatti, – la vediamo a destra nel quadro – che viene a trovare Maria dopo la nascita di Gesù, restituendole così quella visita in cui ella stessa aveva salutato la Vergine esclamando a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!». E le labbra di Elisabetta sono ancora aperte, come se giungendo alla Santa Casa di Nazareth ella abbia voluto ripetere le parole di quel saluto. Un episodio questo, che non è raccontato nei Vangeli, ma che era assai caro alla pietà popolare, nel Medioevo com ancora nel Cinquecento.
Maria e il Bambino
Eccolo, allora, il frutto di quel grembo prescelto dalla volontà divina.
Il piccolo Gesù riposa in una culla, al centro della tela e della stanza, come pochi mesi prima giaceva in una mangiatoia, nella grotta di Betlemme. Una culla che Maria sta facendo dondolare dolcemente, mentre con la mano destra regge un piccolo libro, forse di preghiere, o forse, chissà, anche di storie da leggere al suo bambino come una ninna-nanna…
Il Bambinello, lo vediamo, porta una mano verso il volto, si muove, come se nel sonno avesse percepito che qualcuno è entrato nella stanza, che qualcosa sta succedendo… Con quella sensibilità così pronta e acuta, insomma, che è propria degli infanti.
Maria, seduta di spalle, gira il capo verso i nuovi venuti, e alla loro vista un sorriso le illumina il volto…
Giuseppe
Dietro a lei sta in piedi Giuseppe. Con gesto deciso, quasi teatrale, l’uomo solleva la tenda che riparava la madre col Bambino, svelandoli così alla nostra vista, offrendoli alla nostra contemplazione, così come ai nuovi venuti. E con l’altra mano ci invita ad avvicinarci anche noi spettatori…
In basso, ai suoi piedi, sono sparsi gli attrezzi da falegname – riconosciamo un grande compasso, un’ascia, ci sono persino dei trucioli di legno – come se Giuseppe si sia appena distolto dal suo lavoro, proprio per accogliere quegli amici arrivati in visita.
Ma non è solo Giuseppe ad invitarci ad entrare, a farci avanti…
San Giovannino
Elisabetta, infatti, ha portato con sé anche suo figlio, il piccolo Giovanni, di pochi mesi più grande di Gesù. Elisabetta lo sorregge e quasi lo spinge, come fanno tutte le madri con i figli ancora un po’ insicuri sulle loro gambe, oppure un po’ timidi di fronte a persone che non conoscono…
Ma non è questo il caso. Per divina ispirazione, infatti, Giovannino sa perfettamente chi è quell’altro bambino disteso nella culla, tanto che ce lo indica col braccio disteso, e per essere ancora più certo, ancora più sicuro di attirare bene la nostra attenzione, si gira verso di noi come a cercare il nostro sguardo. «E’ lui! E’ lui, il Messia, il Salvatore, il Figlio di Dio!», ci dicono, quasi ci urlano quegli occhi vispi e neri guardandoci in faccia.
Il Precursore, sebbene ancora fanciullo in tenera età, già veste la pelle di cammello che indosserà nel suo eremitaggio nel deserto, e già stringe quella canna a forma di Croce che annuncia la venuta di Cristo e la Redenzione, tramite lui, dell’umanità intera. Da quella canna pende un cartiglio, su cui compare una scritta (nel dipinto originale si legge perfettamente): «Ecce Agnus Dei», ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo!
Zaccaria
Del Battista, comunque, oltre a mamma Elisabetta, è venuto a Nazareth anche papà Zaccaria. È ritratto un po’ in disparte, come se stesse entrando nella casa proprio in questo momento, ma guardate come anche lui sporga tutto se stesso per vedere, per salutare, per riconoscere.
Lui, Zaccaria, che quando la bontà divina gli aveva concesso quel figlio inatteso a gran voce aveva proclamato: «Benedetto il Signore Dio d’Israele perché ha visitato e redento il suo popolo, e ha suscitato per noi una salvezza potente».
L’ambiente
Dalla finestra aperta ci si affaccia su un panorama ridente. Un cielo di primavera, il verde e i bruni delle colline, perfino l’asinello fedele compagno della Sacra Famiglia, da Betlemme all’Egitto e ritorno. E poi un palazzo, grande e maestoso.
Sì, questo non è un paesaggio qualsiasi. È uno scorcio di Urbino, di Urbino nel Cinquecento, proprio la città in cui vive e lavora Federico Barocci, l’autore di quest’opera. E perfino la stanza, la casa dove tutta la scena si sta svolgendo potrebbe non essere una casa qualunque, ma proprio la casa in cui viveva il pittore, con la sua famiglia. Non è mania di protagonismo, non è mancanza di immaginazione. È semmai la volontà, il desiderio dell’artista di ricreare proprio fra i suoi affetti, fra le sue mura, la bellezza della Famiglia di Nazareth, e così di riviverla, e così di farla rivivere nei sentimenti e negli occhi di ognuno di noi, spettatori di questa scena, del suo quadro…
La gatta
Ma ancora un dettaglio ci attrae. Un particolare che anzi abbiamo notato fin dalla prima occhiata, perché è proprio lì, al centro del dipinto: distesa sulla veste di Maria, sta adagiata una gatta con i suoi cuccioli, una micia che subito alza la testa verso i nuovi venuti, ma senza aggressività, senza timore…
Un particolare tenero, delizioso, che da sempre ha colpito la fantasia di chi guarda, tanto che questo dipinto ancor oggi è noto proprio come la Madonna della Gatta.
Dove anche la gatta è un piccolo ma universale simbolo di maternità. Come se non solo gli uomini, ma il Creato tutto intero vuole ora partecipare, condividere la gioia per questo Dio fattosi uomo per amore in Gesù.