Un anno fa il ritrovamento inaspettato sulle pareti della chiesa di Sant'Alessandro: dipinti databili al XVII secolo che offrono interessanti spunti di studio e di riflessione.

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di Luca Frigerio

Un anno fa la comunità di Mozzate, nel decanato di Tradate, si preparava a festeggiare l’ordinazione sacerdotale di don Andrea. Per l’occasione si era deciso di fare alcuni lavori anche nella parrocchiale, là dove le pareti apparivano segnate da infiltrazioni e umidità. Ma quello che sembrava un semplice intervento di risanamento ha rivelato scoperte inattese e sorprendenti. Sotto lo strato di intonaco ammalorato, infatti, sono riemersi antichi affreschi di cui si ignorava l’esistenza, che oggi sono stati recuperati, per quanto possibile, e restaurati. Una vicenda certamente non insolita per il nostro territorio ambrosiano, così ricco di storia e di cultura, ma che rinnova ogni volta meraviglia e soddisfazione.

Si tratta di pitture murali disposte sulle pareti in fondo alla chiesa, vicino all’ingresso. Nelle lunette, decorate con finti elementi architettonici, sono stati dipinti dei grandi riquadri che simulano la presenza di tele appese, con tanto di chiodi, attaccaglie e cornici, oltre a efficaci ombreggiature che completano l’effetto trompe-l’oeil. Tre sono le scene riaffiorate, mentre probabilmente una quarta è andata perduta in un moderno ampliamento: a sinistra, nella navata, troviamo un’immagine allegorica, la cosiddetta Barca (o nave) della Chiesa; a destra, invece, riconosciamo San Girolamo penitente e San Giorgio che abbatte il drago.

In mancanza di qualsiasi documento appare difficile datare con precisione queste opere, che stilisticamente potrebbero essere assegnate al XVII secolo. Sappiamo che la chiesa di Sant’Alessandro a Mozzate fu riedificata negli anni dell’episcopato di san Carlo, e il Borromeo stesso venne a consacrarla nel 1581: di quella visita abbiamo dei resoconti piuttosto dettagliati, con la menzione di altri affreschi ma non di questi oggi scoperti, motivo per cui si può ipotizzare che all’epoca non fossero stati ancora realizzati. L’espediente stesso del finto-quadro appeso alla parete rievoca peraltro più noti “quadroni”, ovvero quelli creati in occasione della canonizzazione di san Carlo stesso (cioè nel primo quarto del Seicento), la comparsa dei quali tra le navate del Duomo di Milano dovette suscitare meraviglia e ammirazione nei fedeli del tempo, ispirando magari un desiderio di emulazione in altri contesti di memorie borromaiche.

Da parte nostra, da una prima osservazione di questi dipinti possiamo offrire un piccolo contributo, uno spunto per future e più approfondite ricerche, segnalando che il riquadro di san Giorgio (con il martire armato di spada e abbigliato come un antico soldato romano) ci sembra ripreso in maniera diretta dalla medesima scena affrescata nel 1543 da Bernardino Gatti detto il Sojaro nel santuario di Santa Maria di Campagna a Piacenza; mentre il san Girolamo deriva senza dubbio da un’incisione della fine del XVI secolo, talora attribuita a Étienne Dupérac (ne abbiamo individuati due esemplari: uno nei Musei civici di Monza, l’altro all’Accademia Carrara a Bergamo).

L’immagine più interessante di questo inedito ciclo, tuttavia, appare proprio quella della Barca della Chiesa, tema ben noto nella letteratura patristica (da Tertulliano a sant’Ambrogio) e piuttosto diffuso nell’arte paleocristiana, ma che poi diventa via via meno frequente come rappresentazione iconografica (anche se il Breviario Piccolomini del 1475 ne presenta uno splendido esempio), poi ripreso per la sua valenza simbolica nel clima della Controriforma e, più recentemente, nello spirito del Concilio Vaticano II. Pescatori, del resto, sono Pietro e altri apostoli, chiamati da Gesù a diventare “pescatori di uomini”. E proprio attorno a una barca sul Mar di Galilea, in diverse circostanze, i discepoli hanno modo di assistere alle manifestazioni divine del Salvatore. Senza dimenticare quella nuova alleanza già prefigurata nell’arca costruita dal patriarca Noè alla vigilia del diluvio…

Nel dipinto di Mozzate si vede un’imbarcazione carica di uomini di Chiesa, cioè di cardinali, vescovi, sacerdoti e diaconi, come rivelano i paramenti, insieme a una selva di bastoni pastorali e di croci astili: al centro, seduto, vi è anche il papa, ben riconoscibile dal triregno che porta sul capo. Lo stato di conservazione non ottimale purtroppo non permette di cogliere tutte le sfumature della scena, ma si percepisce comunque un’atmosfera di fiducia e di serenità da parte di quei passeggeri che parlano e si confrontano, mentre il vento agita le loro vesti e le onde si infrangono sulla chiglia. Una barca, come acutamente ha subito osservato il parroco don Vinicio, dove il timone è tra le mani di un diacono, come a dire che la rotta della Chiesa è affidata alla carità e al servizio del prossimo reso nel nome del Signore.

E vengono allora in mente le commoventi parole pronunciate da papa Francesco alla vigilia della Settimana Santa, nel pieno di questa pandemia, nel silenzio di una piazza San Pietro lucida di pioggia e deserta, eppure abitata da milioni e milioni di sguardi: «Come i discepoli del Vangelo, anche noi siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari: tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda…».

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