Nel suo ultimo libro, padre Andrea Dall’Asta, direttore della Galleria San Fedele dei gesuiti di Milano, tocca il cuore della questione estetica, unendo insieme arte, teologia, filosofia e antropologia.
di Michela Beatrice FERRI
Con il libro Dio storia dell’uomo. Dalla parola all’immagine padre Andrea Dall’Asta tocca il cuore della questione estetica, cogliendo il momento in cui il confine tra l’estetica come disciplina filosofica e la teologia fondamentale si annulla ed i due ambiti teorici diventano un tutt’uno. Questo percorso dalla “parola” all’“immagine”, che «unisce insieme arte, teologia, filosofia e antropologia» – scrive padre Bartolomeo Sorge nella Prefazione al volume – prende in esame il Rinascimento, per poi passare all’età barocca, all’impressionismo, arrivando alle avanguardie storiche e all’arte contemporanea.
Padre Andrea, quando Dio assume un volto nella storia dell’uomo? Quando Dio entra per l’uomo nella dimensione estetica?
È con l’incarnazione che Dio ha finalmente un volto, e che si rende visibile in un uomo: Gesù, il Cristo, il Logos. La Parola di Dio si fa carne; si fa dunque visibile. Non solo: con il dono dello Spirito, la storia di Dio diventa storia dell’uomo, e il volto di Dio assume il «tratto» di un volto umano, facendosi «ritratto». Nel volto di Dio, l’uomo può riconoscere il proprio volto: si tratta di una rivoluzione antropologica e teologica senza precedenti. La vita di Dio non abita più l’assoluta trascendenza dell’icona ma si cala nella nostra realtà quotidiana, descritta nell’arte secondo la prospettiva lineare che invita l’uomo a una riflessione sul senso del tempo. A questo punto siamo alle origini della nostra visione del mondo. Il fatto che Dio, in Cristo, sia entrato nella storia dell’uomo è fondamentale: il mostrarsi agli uomini è infatti all’origine di una sua rappresentazione in immagini che consentono di prolungare l’esperienza dei primi testimoni oculari. In tutta l’esperienza della fede cristiana, il “vedere” – il “percepire”, l’aisthesis – diventa fondamentale.
Andiamo alle origini, alle “prime” immagini del volto di Dio. Quali sono e che cosa sono queste immagini?
Nella tradizione orientale il volto di Cristo è declinato nel Volto Santo del Mandylion, laddove in quella occidentale prevale invece la tradizione del Santo Sudario. È interessante considerare come queste “prime” immagini, così come si formano secondo la tradizione già nei primi secoli – il Volto Santo o il Santo Sudario – siano acheropite, vale a dire non fatte da mano d’uomo. In questo modo o nell’altro, sono originate dal contatto diretto di Gesù con un panno di lino. In questi casi non si tratta di un “pittore” che cerca di riprodurre secondo un processo mimetico il volto reale di una persona, fissandone i tratti con linee e colori: è Gesù Cristo stesso che per contatto ci consegna il suo ritratto. Se per la tradizione orientale il Mandylion è un telo sul quale Cristo imprime il proprio volto perché il toparca di Edessa, ammalato di lebbra, ne sia guarito, per quella occidentale il telo della Veronica (secondo la tradizione, conservato a san Pietro e disperso durante il saccheggio di Roma del 1527) è un velo sul quale si sarebbe impresso il volto di Cristo durante la salita al Golgota, per essere crocifisso. La rappresentazione del volto di Dio segna uno dei punti decisivi per la spiritualità cristiana, che non ha esitato a riproporre il volto di Cristo secondo infinite varianti, sempre nella finalità di creare un rapporto personale con il fedele.
La relazione tra “parola” e “immagine” costituisce il tema che caratterizza la fede cristiana. Come si presenta, oggi, il rapporto tra la “fede” e l’“arte”?
La relazione tra “fede” e “arte” è caratterizzata, oggi, da una profonda frattura. Anzitutto, la Chiesa si trova immersa in una ipericonicità causata da una proliferazione dell’immagine senza precedenti, proposta dai media, in cui tutto si fa immagine, invadendo le diverse dimensioni politiche, sociali e culturali dello spazio umano, secondo principi di pubblicità e di mercato. Questa proliferazione tende inesorabilmente alla negazione del carattere simbolico dell’immagine.
Da un lato abbiamo pessimo gusto e immagini vuote e artificiali realizzate da dilettanti a caratterizzare un’arte sacra che continua a invadere le chiese antiche e moderne, con conseguenze devastanti. Dall’altro lato l’arte contemporanea si presenta frammentata e diversificata nelle sue espressioni proprio perché abitata dall’ansia di una ricerca di senso, proprio perché sempre insoddisfatta, e di fronte alla quale la Chiesa si sente impreparata e confusa.
Come, allora, l’arte può porsi in dialogo con la fede, oggi?
L’arte può tornare a parlare con la fede solo se esprime il coraggio di cercare per credere, per amare, per sperare. L’arte non deve accontentarsi dell’orizzonte di questo mondo, ma deve accendersi nel desiderio di dare risposte al mistero ultimo dell’esistenza, in una ricerca continua di riconoscere un senso al destino della vita. Deve essere un’arte, quindi, che sa riflettere, nell’ascolto delle vere domande che abitano ogni uomo.