Una straordinaria raccolta della scultura italiana, e non solo funeraria, fra Otto e Novecento.

di Luca FRIGERIO

Cimitero monumentale Milano Famedio

Imponente, dall’eleganza un po’ malinconica, il Cimitero Monumentale di Milano si distende appena fuori dalla cerchia delle mure cittadine, oggi quasi a ridosso del centro storico. “Ideato” all’indomani dell’Unità d’Italia da Carlo Maciachini (poliedrico architetto che volle qui creare un nuovo stile “nazionale” attingendo alla tradizione gotica lombarda), il progetto riuscì a integrare due diverse tipologie cimiteriali – quella “monumentale”, appunto, con quella “a parco” . in una realizzazione ammirata da molti per la sua originalità, criticata da alcuni – come Camillo Boito, ad esempio – per il suo eccesso di “decorativismo”.

Oggi il Monumentale può essere considerato come un vero “museo a cielo aperto” della scultura fra Otto e Novecento, e non solo lombarda. Fin dalla sua inaugurazione, infatti, il grande cimitero milanese è stato identificato dagli artisti come una sorta di spazio espositivo permanente delle loro opere, ma anche un laboratorio di nuovi linguaggi espressivi. E questo grazie soprattutto a quella borghesia meneghina che, robusta nel censo, ha sempre saputo investire nella propria autocelebrazione.

Tali e tanti sono dunque i manufatti artistici presenti in questo luogo, e talmente ampia è la sua estensione, che non risulta facile tracciarvi un ideale itinerario figurativo, che, peraltro, va ben al di là dell’evidente tematica funeraria e che è possibile evocare qui solo con qualche esempio d’eccellenza. A cominciare da quel Vincenzo Vela, esponente del Realismo e protagonista della scultura italiana della seconda metà del XIX secolo, che nel 1872 realizza al Monumentale, per la tomba Kramer, l’opera Il dolore della scienza, caratterizzata da una profonda forza interiore e da un’intensa meditività. Un lavoro che ben esprime quella tendenza, propria a molti artisti e a tanta parte della committenza in quegli anni, ad affrontare con spirito laico o con libera religiosità i temi del mistero esistenziale, misurati cioè non con il metro della fede, ma piuttosto con quello del progresso sociale. Così, sebbene molte figure su questi sepolcri milanesi appaiono ancora come presenze angeliche (splendida, ad esempio, quella di Odoardo Tabacchi nell’edicola Pigni), esse sembrano mettere in mostra la terribile ineluttabilità della morte, piuttosto che la speranza in una vita ultraterrena.

Accanto comunque a questi temi generali, religiosi e filosofici, la scultura cimiteriale di fine Ottocento è caratterizzata soprattutto dagli aspetti celebrativi, specie di singoli personaggi, con una serie di significativi ritratti. Fra i più interessanti vi è certo quello dedicato alla memoria di Giuseppe Mengoni, realizzato da Francesco Barzaghi nel 1879, artista tra i più sensibili e intuitivi del suo tempo, capace di rendere qui l’inquieta e complessa personalità dell’ideatore della Galleria Vittorio Emanuele, morto tragicamente in quello stesso cantiere.

Con l’affermarsi del movimento della Scapigliatura, tuttavia, il discorso espressivo cambia repentinamente, sottolineando, insieme ad un nuovo stile, una nuova concezione del monumento commemorativo. Ne fanno fede i lavori impressionanti di Medardo Rosso (in più siti), così come la nota figura di fanciulla sul letto di morte della tomba Casati Brioschi, opera di Enrico Butti (1891), emozionante incontro tra immediatezza rappresentativa ed evocazione spiritualistica. Il passo decisivo verso la sensibilità del Simbolismo è compiuto invece da Leonardo Bistolfi con la statua Il sogno per il sepolcro Cairati Vogt del 1897, dove la leggerezza della figura, avvolta in una sorta di spirale turbinosa, gli occhi socchiusi in una indefinibile espressione tra il sonno e la morte, esprimono perfettamente il momento culturale e spirituale di passaggio al nuovo secolo.

Negli anni che precedono la Grande guerra, si assiste al Monumentale di Milano alla ripresa del gusto per le grandi dimensioni e per le formule spettacolari, che si esprimono anche nell’esaltazione dei simboli religiosi. Supremo sforzo in tale direzione sono i due eccezionali gruppi in pietra del 1910, quello per la tomba Crespi e quello dell’edicola Squadrelli, firmati da Ernesto Bazzarro, che con profonda riflessione affrontano il tema della vita oltre la morte, al di sopra e al di là dell’esistenza individuale.

Tema che continua a trovare riscontro anche negli anni Venti del secolo scorso, quando, accanto alle iconografie funerarie tradizionali, si evidenzia una ripresa e un intensificarsi di immagini strazianti (giustificate anche dall’immane tragedia appena vissuta), con effetti spesso di aspra durezza, ma assecondate ora da un segno più moderno, freddo e acre. È in questa atmosfera che si collocano certamente quelle sculture e rilievi in stile Decò, dove il linearismo secco, il lirismo prezioso, suggeriscono quel legame diretto con un mondo raffinato che sembra non voler arretrare neppure di fronte alla definitività della morte. Così appare, esemplarmente, nella produzione di Adolfo Wildt, le cui statue per la tomba Koerner appaiono come una delle creazioni più originali del primo dopoguerra nel cimitero milanese.

Arturo Martiniè un altro gigante della scultura italiana del Novecento le cui opere figurano al Monumentale: nel pieno del secondo conflitto mondiale, infatti, egli realizza qui, per il cenotafio di Irina Lukaszerwicz, una fresca figura di danzatrice in marmo nero, poggiata bocconi sulla lastra tombale come per una repentina caduta. Ma anche Francesco Messina nei primi anni Quaranta incomincia la sua attività milanese proprio in questo cimitero, dando vita – poetico paradosso – a una delicata immagine di fanciulla per la tomba Della Torre: Memoria è il suo nome.

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