Una intensa storia al femminile raccontata con gusto e passione da Widad Tamini, giovane scrittrice al suo primo romanzo. Un libro consigliabile, in un momento in cui le diversità suscitano diffidenza quando invece possono essere opportunità di ricchezza.
di Lucia ANGELINI
Widad Tamimi sa raccontare, non c’è dubbio che sa come costruire una storia avvincente. Sa anche scrivere, usa la lingua italiana in modo raffinato, creativo, ricco: lo strumento linguistico è fatto vibrare, con gusto e passione, in tutte le sue corde.
Widad è una giovane donna (classe 1981), incrocio e crogiolo di tre culture: quella ebrea della madre, quella palestinese del padre, quella italiana della sua formazione giovanile. Ne fa, di questa complessità, con vanto, una ricchezza. Il caffè delle donne, pubblicato da Mondadori è il suo primo romanzo.
Anche Qamar, protagonista del libro, è una giovane donna in equilibrio tra due mondi. Quello medio-orientale della sua infanzia, appartenente ad una delle sue componenti genetico-culturali, e quello occidentale che ha improntato i suoi modelli di pensiero e di comportamento. Poi l’evento traumatico di una interruzione di gravidanza le provoca una profonda lacerazione: la perdita richiama tutte le perdite della sua giovane vita e Qamar non ha la pazienza – Qamar non ha mai pazienza- di attendere che la ferita rimargini. Un bisogno imperioso di ritrovare le sue radici le fa sospendere il presente per ritrovare, ritornando nella “grande casa” della famiglia paterna ad Amman, il suo passato di bambina ricchissimo di ricordi intessuti di luci, di odori, di gusti speziati.
Lì erano trascorse le estati dell’infanzia e della prima adolescenza di Qamar. Con tante figure femminili, un vero coro di donne, spesso molto pazienti nei confronti del proprio destino, ma anche dotate di una grande comunicativa e di una femminilità intrigante. Con una splendida figura di nonna che ogni giorno, dopo essersi purificata le mani dalle fatiche quotidiane, raccoglie i tanti sospiri che la circondano affidandoli alla benevolenza del suo Dio a cui fedelmente rivolge la sua lode. Con tanti bambini che inventano giochi di strada e poi diventano ragazzini e uno di loro diventa anche il primo amore, quando però Qamar non è già più una bambina e vive l’esperienza di dover soggiacere alle regole di una società diversa da quella in cui è cresciuta, in cui la femminilità è protetta e le libertà di esprimerla sono limitate.
Lì, ad Amman, Qamar, ammessa al caffè delle donne (che dà il titolo al libro) aveva avuto, nella lettura del sedimento del caffè, rituale tanto irrinunciabile quanto solenne, la premonizione di una felicità futura raggiunta non prima di qualche sofferenza .
Questo è l’anello che lega presente e passato e il caffè delle sue radici diventa per Qamar cifra dei vari passaggi della vita e degli incontri che li caratterizzano: può essere molto forte e amaro, ingentilito con qualche goccia di latte, fatto bollire tre volte e profumato di cardamomo come lo si beveva “nella grande casa” e come lei ama berlo tuttora.
Il caffè è metafora efficace della ricerca dei sapori e dei significati della vita: quelli dolci e struggenti dell’infanzia, quelli più forti ed esigenti di un presente ritrovato. E di un futuro da giocarsi con tutta se stessa, in una sintesi possibile di parti di sé diverse tra loro che insieme acquistano un valore aggiunto di ricchezza personale, e in una relazione affettiva profonda che questa ricomposizione aiuta a rendere armonica.