Un interessante confronto fra opere della giovinezza del grande scultore fiorentino (la Pietà di San Pietro), della maturità (la Pietà Bandini) e degli ultimi giorni (la Pietà Rondanini), in un suggestivo allestimento nella Sala delle Cariatidi a Palazzo Reale. Con l'invito ad ammirare gli originali e a riscoprire altre copie "storiche" (come quella all'Ambrosiana).
di Luca
Frigerio
Il gesso non ha la forza del marmo. Un calco, o una copia, non hanno mai l’impatto dell’originale. Ma è una cosa talmente risaputa, talmente scontata che non ci sarebbe neanche bisogno di dirlo. Allora, sgombrato il campo da ogni equivoco, godiamoci serenamente la mostra in corso a Palazzo Reale a Milano per quello che è: l’opportunità di vedere insieme, nello stesso ambiente, con un unico colpo d’occhio e a pochi passi di distanza l’una dall’altra, le tre Pietà che Michelangelo ha realizzato nel corso della sua intensa vita. I calchi, certo. Soltanto dei simulacri che, in particolari occasioni storiche, sono stati ricavati dalle opere originali del Buonarroti. Eppure anche un’esperienza come questa può rivelarsi emozionante.
Innanzitutto perché l’allestimento non è banale. A cominciare dal luogo: quella Sala delle Cariatidi che ancora porta i segni delle devastazioni del secondo conflitto mondiale, le cui statue mutilate, le cui decorazioni frantumate sono lì a testimoniare l’orrore della guerra, di tutte le guerre, passate, presenti e, ahinoi, future. Con quei segni di sofferenza, empaticamente, dialogano le Pietà di Michelangelo esposte, anch’esse memoria di un dolore straziante, quello della perdita di un figlio, con la disperazione di una madre il cordoglio impotente di chi ha vissuto quella tragedia sul Golgota.
Ognuno dei tre calchi ha come sfondo un lungo telo bianco, che subito, allusivamente, rimanda al lenzuolo nel quale sta per essere avvolto il corpo di Gesù morto, prima di essere adagiato nel sepolcro. Una «sindone» sulla quale vengono quindi proiettati i dettagli delle Pietà stesse, in un gioco di luci che non lascia indifferente neppure il visitatore più prevenuto: la fissità delle statue, con la mobilità delle immagini, così che il compianto si fa ancora più vivo, la deposizione diventa un rituale nel quale si è tutti coinvolti.
I calchi delle tre Pietà di Michelangelo non sono stati eseguiti per l’occasione, ma sono storici: come tali, anch’essi fanno ormai parte delle vicende legate ai capolavori del Buonarroti. Quello della Pietà della basilica di San Pietro, in Vaticano, fu realizzato nel 1975 al termine dei restauri resi necessari dall’atto vandalico di un folle che si avventò con un martello contro la statua, cinquant’anni fa.
Il calco della Pietà di Santa Maria del Fiore a Firenze, nota come Pietà Bandini, risale al 1882, ed è conservato nella Gipsoteca fiorentina dell’Istituto d’arte di Porta Romana. Il calco della Pietà Rondanini, infine, fu preso nel 1953, dopo che la statua era giunta a Milano: un evento eccezionale che vide coinvolta l’intera cittadinanza, che si mobilitò attraverso una sottoscrizione pubblica per aggiudicarsi il capolavoro di Michelangelo, anche come gesto di ripartenza dopo le distruzioni della guerra, nel segno della bellezza.
Certo, non c’è bisogno di una mostra come questa – aperta fino al prossimo 8 gennaio, a ingresso gratuito – per verificare l’eccezionale valore delle tre Pietà di Michelangelo. Eppure anche un’iniziativa del genere può aiutare i visitatori a un approccio «diverso» a questi capolavori, basato proprio su un confronto diretto, immediato, contemporaneo.
Con la Pietà vaticana che scaturisce dalla forza e dall’entusiasmo giovanile di Michelangelo (la scolpisce nel 1498, ad appena 23 anni), dove il dolore viene sublimato in una grazia che è principio assoluto, bellezza che davvero salva. Mentre la Bandini è una pietà che l’artista lavora in età già tarda, oltre cinquant’anni dopo, incontrando molti problemi a causa delle impurità del marmo, ma soprattutto lacerato nel suo intimo da una sorta di insoddisfazione, di incapacità a rendere nella materia – lui, che pur aveva la consapevolezza di essere uno dei più grandi scultori apparsi sulla terra – quello che aveva davvero nel cuore e nell’animo.
È così che si getta a modellare la Pietà Rondanini, suo capolavoro estremo, definitivo seppur incompiuto (come del resto la Bandini), autentico testamento artistico, ma soprattutto di vita. Dove la madre sorregge il figlio morto, come non volendosi arrendere alla perdita, come a costringerlo a continuare a vivere, a camminare, tornando all’infanzia. E così facendo Gesù sembra diventare un unico corpo con Maria, come a rientrare in lei, in quel ventre che l’ha generato. Così che, impressionante visione, la morte si trasforma già in rinascita, come aveva intuito l’indimenticato don Serenthà. E anche noi, come la Vergine, ci aggrappiamo a Colui che ha vinto la morte, sostegno della nostra speranza.
Il consiglio è evidente: vista la mostra dei calchi a Palazzo Reale, non si perda l’occasione di tornare ad ammirare gli originali. La Pietà Rondanini è al Castello Sforzesco, sempre accessibile.
E senza dimenticare che Milano ha anche un altro prezioso calco per quanto riguarda la Pietà di San Pietro. È quello che si trova presso la Pinacoteca Ambrosiana, proveniente dalla celebre Casa degli Omenoni e appartenuto, quindi, a colui che fu considerato il vero erede di Michelangelo: Leone Leoni. Una copia in gesso di straordinario interesse, perché fu eseguita attorno al 1560, prima cioè dei restauri settecenteschi.