«Non ho vissuto fra di voi in modo da dovermi vergognare di vivere; né temo di morire, perché abbiamo un Signore che è buono». Così morì il santo, secondo la testimonianza dei contemporanei. Il transito avvenne il 4 aprile, Sabato Santo: eppure ancora oggi il patrono è festeggiato il 7 dicembre, nel giorno in cui si ricorda la sua consacrazione episcopale... Per quale ragione?
di Luca
Frigerio
Autore del libro «Ambrogio. Il volto e l'anima» (Centro Ambrosiano)
«Non ho vissuto fra di voi in modo da dovermi vergognare di vivere; né temo di morire, perché abbiamo un Signore che è buono». Parole diventate celebri, che Ambrogio dovette pronunciare con un filo di voce, eppure sempre determinato e lucidissimo, per rispondere al generalissimo Stilicone che aveva mandato alcuni suoi emissari al capezzale del vescovo di Milano per supplicarlo di chiedere a Dio la grazia «che gli prolungasse la vita», per il bene dell’Italia e dell’impero.
Accadeva proprio di questi giorni, sul finire del mese di marzo dell’anno 397. Sebbene di tempra indomita, Ambrogio era sempre stato piuttosto gracile di costituzione, e il suo fisico, nel corso degli anni, più volte aveva dovuto subire l’attacco di acciacchi e malattie, anche gravi. Una situazione ancora più compromessa dal fatto che, come sottolineava il suo segretario, e futuro biografo, Paolino, «il venerabile vescovo era uomo di grande astinenza, di molte veglie e fatiche e macerava il proprio corpo con il digiuno quotidiano». Anche negli ultimi tempi, il vescovo di Milano non venne mai meno ai suoi doveri di pastore, preso da mille incombenze, costretto perfino a faticosi viaggi, come quello tra Bologna e Firenze, pur di non avallare le pretese politiche degli usurpatori. Ma inesorabilmente gli sfuggivano il tempo e la salute.
Diverse opere illustrano artisticamente gli ultimi momenti di vita del santo. Il dipinto che riproduciamo qui sopra, commissionato alla fine del Seicento dalla Confraternita del Santissimo Sacramento di Mariano Comense e vicino allo stile di Antonio Maria Ruggeri, mostra Ambrogio che, costretto a letto ormai da alcuni giorni, raccolte le ultime forze, con il pallore della morte sul volto, si protende per ricevere la comunione offertagli da Onorato, vescovo di Vercelli, che una voce divina aveva chiamato ad assistere l’amico e collega. Per terra giacciono le insegne episcopali: la mitra, il pastorale, il pallio, e perfino il “mitico” flagello. Simboli di una vita intensa, pienamente vissuta; emblemi di una missione condotta sempre con forza e determinazione, e ora giunta al suo termine. Perché tutto ormai è compiuto.
Nell’oscurità della notte, attorno al vescovo si stringono i suoi famigli, i collaboratori più prossimi, dolenti e quasi increduli che il momento del trapasso sia infine giunto. Tra questi c’era anche lo stesso Paolino, che testimonia come Ambrogio, appena ebbe ricevuto il corpo del Signore, «spirò, portando con sé un buon viatico, in modo che l’anima, ancora più rinvigorita in virtù di quel cibo, ora possa allietarsi della comunione degli angeli, la cui vita egli visse in terra». Erano le prime ore del 4 aprile 397, Sabato santo.
La notizia della morte del vescovo si sparse immediatamente per Milano, e il cordoglio fu unanime e sincero. La sua salma fu portata alla chiesa maggiore e lì rimase la notte in cui si celebrò la veglia pasquale. In quella circostanza, come scrive il biografo, «molti bambini che erano stati battezzati, lo videro e col dito lo mostrarono ai loro genitori mentre passeggiava; ma gli adulti non lo potevano scorgere, perché non avevano gli occhi purificati».
Quando poi il corpo di Ambrogio venne tumulato nella basilica che ne prenderà il nome e che lui stesso aveva fatto costruire, esso divenne subito oggetto della medesima venerazione riservata ai martiri: così che «folle di uomini e di donne gettavano i loro fazzoletti e le loro cinture affinché il suo corpo santo fosse in un qualche modo toccato da quegli oggetti», credendo cioè che il potere taumaturgico del vescovo di Milano potesse continuare e propagarsi anche solo per contatto con le sue spoglie mortali. Del resto innumerevoli furono i miracoli e i prodigi verificatisi in quei giorni.
A questo punto ci si potrebbe chiedere come mai la memoria liturgica di sant’Ambrogio sia stata fissata al 7 dicembre, giorno della sua ordinazione episcopale, e non il 4 aprile, giorno della sua morte, ovvero nel dies natalis (cioè nel giorno della nascita al Cielo), come avrebbe dovuto avvenire secondo la consuetudine. Questo sarebbe accaduto, spiegano alcuni studiosi, perché spesso la Santa Pasqua ricorre proprio nei primi giorni di aprile, con il rischio, quindi, di “oscurare” la memoria del patrono di Milano…
Tuttavia appare più probabile che si sia voluto espressamente mantenere quella sorta di “festa di famiglia” che già il vescovo Ambrogio, vivente, aveva promosso. Lui stesso, infatti, festeggiava ogni 7 dicembre come un “giorno natalizio”, coinvolgendo i fedeli di Milano: «Voi siete per me come i genitori, perché mi avete dato l’episcopato. Voi, ripeto, siete come figli o genitori: uno per uno, figli; tutti insieme, genitori», come disse nella ricorrenza del 385. Una festa di tutti, insomma: da ricordare ogni anno, insieme, con grata memoria. E da allora, ancora oggi.