Un gioiello del Rinascimento lombardo, ferito dagli eventi storici, oggi è finalmente restituito alla città di Milano. Sabato 1 aprile, infatti, l'Associazione Amici di San Bernardino alle Monache presenterà la prima parte dei dipinti rinascimentali restaurati.

Testo e foto di Luca FRIGERIO

C’è bellezza in ogni dove. Bellezza nascosta, da far brillare, da riscoprire. Come nell’antica chiesa di San Bernardino alle Monache a Milano, che al passante distratto appare improvvisa in via Lanzone, a pochi passi dalla basilica di Sant’Ambrogio e dall’Università Cattolica. Un luogo ricco di storia e di arte, ferito dal tempo e a lungo pressoché dimenticato, ma che oggi rinasce, grazie alle cure appassionate dei suoi «Amici»: un’associazione che ormai da vent’anni è impegnata nella tutela e nella valorizzazione del sacro edificio.

Sabato 1° aprile, infatti, come si riporta nella colonna a lato, verranno presentati al pubblico gli ultimi restauri che hanno interessato una prima parte degli affreschi rinascimentali che ancora ornano San Bernardino alle Monache. Interventi, eseguiti con la consueta perizia dall’impresa Mùrino, che hanno riportato alla luce dettagli inediti e particolari che si credevano perduti, contribuendo a una rilettura corretta di alcune scene e all’esatta identificazione di personaggi fino a ieri “problematici”.

E c’è davvero tutta la semplicità e l’eleganza dell’arte lombarda del Quattrocento nelle forme di San Bernardino alle Monache, che i moderni rifacimenti hanno solo assecondato. La fronte a capanna, l’uso dei laterizi e delle decorazioni in cotto hanno fatto pensare alla mano dei Solari, protagonisti dell’architettura milanese prima delle dirompenti invenzioni bramantesche.

Ma la chiesa ha origini ancora più remote. Sorse infatti sul finire del XIII secolo, quando una nobildonna milanese, Floriana Crivelli, volle dar vita ad un monastero femminile nell’antica Contrada del Torchio. Le religiose, che vestivano il bianco abito degli Umiliati ma seguivano la Regola di sant’Agostino, furono “folgorate” dalla toccante predicazione di san Bernardino da Siena (che più volte, tra il 1418 e il 1442, venne a Milano), al punto da chiedere entusiaste di poter aderire alla spiritualità francescana. E quando poi la loro chiesa venne ricostruita più grande e più bella, grazie anche al contributo della duchessa Bianca Maria Visconti, ottennero di dedicarla proprio al grande predicatore minorita.

Se ancora nel Seicento il cenobio di San Bernardino aveva visto ampliamenti e decorazioni, nell’ultimo quarto del XVIII secolo Giuseppe II di Lorena, imperatore d’Austria e duca di Milano, ordinando la soppressione di tutte le case religiose contemplative e l’incameramento dei loro beni, ingiunse l’allontanamento delle suore e la requisizione del convento, che fu trasformato prima in caserma di polizia, poi in ospizio per «donne di perduta fama, colpite da malattie morbose».

Delle distruzioni che seguirono fu risparmiata solo la chiesa, ripristinata nelle forme quattrocentesche agli inizi del secolo scorso, secondo il gusto dell’epoca. Ma purtroppo anch’essa fu gravemente danneggiata nell’ultima guerra, in seguito ai bombardamenti aerei dell’agosto 1943.

A causa di tutto ciò, molto è andato perduto del passato splendore. Ed è un vero peccato, perché i brani di affreschi rimasti, ora in parte accuratamente restaurati, come si diceva, parlano di una decorazione rinascimentale ricca e importante. Nella seconda campata a sinistra, ad esempio, sopra l’ingresso laterale, una Madonna col Bambino e sant’Agnese rimanda, per l’impostazione prospettica dello sfondo, al linguaggio di Vincenzo Foppa, e quindi a un pittore che, nell’ultimo scorcio del XV secolo, aveva ben studiato le mirabili scene dipinte dal maestro bresciano nella Cappella Portinari. Mentre il San Francesco che riceve le stimmate, sulla parete sinistra del presbiterio, sembra più vicino ai modi del Bergognone, riecheggiando, ad esempio, quella tavola con il medesimo soggetto che è uno dei capolavori del Museo Diocesano.

Sulla stessa fascia, al centro, si trovano altre due figure di santi francescani, Ludovico di Tolosa e Antonio da Padova, con il san Girolamo penitente a chiudere la fila verso l’abside: proprio qui, ad esempio, i restauri hanno fatto emergere l’immagine del Crocifisso a cui il Dottore della Chiesa si rivolge, prima del tutto coperta.

Nel registro sottostante, invece, si impone la figura solenne del vescovo Ambrogio, con il pastorale in una mano e lo staffile nell’altra. Alla sua destra, il ritratto di una religiosa oggi finalmente “svelata”: si tratta di Chiara d’Assisi, come rivela l’abito francescano e la pisside che la santa stringe davanti a sé. “Madre” e protettrice delle monache che qui vissero per secoli, nel silenzio fecondo della clausura.

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