A causa di una grave maculopatia, l'ottantenne pittore milanese non doveva più dipingere. E invece ha realizzato delle nuove tele dipingendo "a memoria": un'emozionante rassegna al Centro Culturale di Milano, il cui ricavato servirà a finanziare progetti di Cbm Italia in America Latina.

Giancarlo Cerri con una delle sue ultime opere (foto di Alfredo Felletti)

di Luca FRIGERIO

Non si vede soltanto con gli occhi, così come dipingere è ben altro che stendere dei colori su una tela. Può sembrare una banalità, il dirlo, ma ogni tanto vale la pena di ricordarcelo. Come fa, in questi giorni, Giancarlo Cerri con la sua nuova mostra a Milano. Una rassegna sorprendente, se si considera che il pittore milanese di dipinti non doveva più farne, e l’esposizione di tre anni fa, dedicata al tema della Croce, di cui abbiamo dato conto su queste pagine, doveva essere l’ultima, come lui stesso aveva dichiarato: inevitabilmente, forzatamente l’ultima.

Perché Cerri, classe 1939, da quindici anni ormai è stato colpito da una grave forma di maculopatia, così che non vede che delle ombre, per lo più, riuscendo a leggere e a scrivere con grande difficoltà, e solo con l’aiuto di particolari visori. Se la perdita della vista rappresenta un dramma per tutti, a maggior ragione lo è per chi ha fatto dell’arte e della pittura la ragione stessa della sua vita. E allora non resta che la rassegnazione di fronte all’avverso destino, o la rabbia per una condanna ingiusta e definitiva.

Giancarlo Cerri, però, non si è arreso. La voglia di continuare a dipingere, il desiderio di tornare a esprimersi attraverso i colori l’hanno spinto a riprendere in mano il pennello, creando nuove opere che neppure avrebbero dovuto esistere. Ce l’aveva già confidato l’anno scorso, in verità, e quasi non gli avevamo creduto, come se la sua fosse soltanto una pia illusione, uno sfogo da assecondare con una certa accondiscendenza… E invece eccoli qui i “quadri dell’orbo”, come lo stesso artista ha voluto chiamarli, con un’ironia che è la forza che dà gusto al suo talento.

Venti opere di grande impatto visivo, tutte delle medesime dimensioni (100 per 80 centimetri), tutte raggruppate sotto un unico titolo collettivo: Sequenza plurima. Anche lo schema compositivo, a una prima occhiata, può sembrare simile: campiture di colori primari e delle loro combinazioni, dove dominano il rosso, il verde, il blu e il giallo, spesso abbracciati dal nero o accompagnati dal bianco. Quadri, tuttavia, che alla fine risultano assai diversi l’uno dall’altro, ognuno a esprimere un particolare sentimento o una determinata situazione. Secondo uno stile che può ricordare la grande pittura di Mondrian, soprattutto nella concezione, per cui l’apparente “semplicità” delle opere è frutto invece di una complessa profondità di pensiero. E che sancisce, così, l’ultima stagione del suo percorso artistico: un astrattismo “assoluto” e finale, dopo gli esordi figurativi, la maturità materica, l’approdo all’informale.

Giancarlo riesce ancora a distinguere alcuni colori, ma per il resto procede a memoria, lavorando con l’immaginazione, creando in se stesso quella visione che poi cerca di riportare sulla tela. Così che il gesto demiurgico del dipingere diventa per lui anche un atto di fiducia: lui, il creatore a cui non è data la possibilità di vedere con i propri occhi la sua stessa creatura, ma che contempla con uno sguardo dell’anima. In quella che appare come una dimensione davvero “sacra”, che non a caso il maestro milanese ha scoperto dentro di sé negli ultimi anni, stupendosene lui per primo, dopo una vita laicamente orientata.

Ma c’è un motivo in più, e di grande importanza, per cui ci occupiamo dei lavori di Giancarlo Cerri. Ed è il fatto che questa mostra è stata realizzata insieme a Cbm Italia Onlus, organizzazione umanitaria impegnata nella cura e prevenzione della cecità evitabile nei Paesi del Sud del mondo: le opere, infatti, sono messe in vendita al prezzo di mille euro l’una e il ricavato andrà interamente a sostegno di servizi di assistenza oculistica in Bolivia, Paraguay e Guatemala, a favore dei soggetti più poveri e più deboli (come la cura della retinopatia del prematuro, che oggi è la prima causa di cecità infantile in America Latina).

La sordità non aveva impedito a Beethoven di continuare a comporre musica, creando capolavori. Allo stesso modo, diventato ipovedente, Cerri non ha smesso di dipingere, e a chi si trova nella sua stessa condizione oggi dice: «Coraggio, reagite! Quando gli occhi ormai non si accendono quasi più, accendete la luce della vostra immaginazione che è più potente di quella degli occhi». Parola di un orbo che vede lontano.

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