L'autore cileno de "La gabbianella e il gatto" e di tanti altri romanzi di successo lottava da un mese contro il Covid-19. Fu perseguitato dal regime di Pinochet: il suo impegno nella difesa dei diritti dell'uomo e il suo amore per l'Italia.

Sepulveda

È morto per coronavirus lo scrittore cileno Luis Sepulveda. L’autore della Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare e di Il vecchio che leggeva romanzi d’amore era ricoverato da fine febbraio in ospedale a Oviedo dopo aver contratto l’infezione.

Arrestato due volte e condannato all’esilio durante la dittatura di Pinochet, ecologista convinto, Sepulveda aveva festeggiato i 70 anni a Milano in un evento organizzato dalla sua casa editrice italiana, Guanda. Innamorato dell’Italia dove le sue opere hanno superato complessivamente gli otto milioni di copie e dove lettori e fan di ogni età lo hanno sempre ricambiato con affetto, vincitore del Premio Hemingway per la Letteratura, del Premio Chiara alla carriera e insignito di una Laurea Honoris Causa in Lettere dall’Università di Urbino, era nato a Ovalle, in Cile, il 4 ottobre del 1949.

«Se c’è un segno che ha contraddistinto l’opera e le parole di Luis Sepulvelda è la sua fedeltà nella difesa dei diritti dell’uomo, nella capacità di credere che sia necessario essere consapevoli del proprio essere individuo, non isolato, ma responsabile di un vivere civile al quale la nostra socialità richiama», scrive oggi Fulvio Panzeri sul sito del quotidiano Avvenire.

«Ne è stato fortemente convinto e lo ha raccontato nella sua opera letteraria, così variegata, come scelta di generi, ma unificata proprio da questo valore che unisce i romanzi e le favole, raccontate non solo ai ragazzi, ma a tutti i suoi lettori, come forma “antica” e immediata per riportare l’attenzione su tutti quegli aspetti che portano un uomo a condividere il suo essere all’interno della collettività in modo consapevole. Diceva: “Siamo esseri umani e questa condizione è determinata dal nostro essere legati alla socialità, alla possibilità di riunirci, ad essere parte di una collettività chiamata famiglia umana. Oggi c’è una tendenza ad isolare l’individuo, a fare in modo che dimentichi la sua socialità, tuttavia io mi oppongo a questo e insisto nella necessità di essere sociali”».

I suoi romanzi non solo raccontano questa possibilità dal punto di vista politico, ma la riportano anche sul piano di una sorta di codice etico che afferma l’individuo, garantendogli un diritto primario.

È quell’esercizio che anima tutti i suoi libri, che vivono di forza in virtù della capacità di trasformare la verità umana in una realtà romanzesca riconoscibile, dove la scrittura non è solo un dovere, ma una sorta di combattimento continuo, con se stesso, con il malessere del mondo, con i fantasmi della Storia, anche quando si stempera nella forma quieta e sapienziale della favola, l’altro modo che Sepulveda ha scelto per raccontarsi agli uomini, per raccontare loro quel “diritto alla vita” in cui ha sempre creduto.

Lo ha fatto anche con le sue “favole”, mettendo in scena la generosità e la solidarietà, oltre al bisogno di amore per la natura, nella “Gabbianella e il gatto”; sostenendo il valore della lentezza, nel nostro mondo lacerato dalla velocità a tutti i costi nella storia della lumaca e quello dell’amicizia nella Storia del gatto e del topo che diventò suo amico; ritornando a sottolineare la necessità della libertà e il valore di non negare a nessuno i diritti fondamentali, nella Storia di un cane che insegnò a un bambino la fedeltà, fino a celebrare la bellezza e la grandezza di un mare da lui tanto amato attraverso la voce di una balena bianca.

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