Dopo l'Armistizio del 1943 fu uno dei "ribelli per amore" dei sacerdoti ambrosiani. Nel varesotto, al confine con la Svizzera, aiutò perseguitati, renitenti alla leva ed ebrei a espatriare, appoggiando l'organizzazione Oscar. Per questo fu anche arrestato dai fascisti più volte. La sua storia è oggi raccontata in un libro di Severino e Grienti.
di Luca
Frigerio
Clivio è un paese di confine, un punto di passaggio naturale per la Svizzera, vicino a Viggiù, nel varesotto. Anche prima del secondo conflitto mondiale, da qui transitavano di continuo merci e persone, con un notevole impegno della locale stazione della Guardia di finanza. Ma con l’Armistizio dell’8 settembre 1943, i tedeschi da alleati si fanno occupanti e cominciano i rastrellamenti, gli arresti, le deportazioni, con i valichi lombardi letteralmente «blindati», perché diventano la meta disperata di quanti cercano una via di fuga e di salvezza.
In una situazione del genere si può cercare di «tirare avanti», aspettando che passi il peggio, in attesa di riprendere la propria vita «normale». Oppure si trova il coraggio di ribellarsi di fronte alla violenza e all’ingiustizia, facendo qualcosa, qualsiasi cosa, per aiutare chi è perseguitato e salvare chi è in pericolo: anche a costo di pagarne lo scotto sulla propria pelle.
È quello che ha fatto don Gilberto Pozzi, parroco di Clivio a quel tempo, uno dei tanti «ribelli per amore» della Diocesi di Milano nei giorni difficili dell’ultimo conflitto. Il suo nome e il suo impegno, infatti, erano già stati «registrati» nel meritorio lavoro di documentazione di don Giovanni Barbareschi, resistente della prima ora. Ma oggi la sua storia viene raccontata dettagliatamente in un nuovo libro, Il partigiano di Dio. Don Gilberto Pozzi lo Schindler di Clivio (Edizioni San Paolo, 192 pagine, 18 euro), firmato dal colonnello e storico della Guardia di finanza Gerardo Severino e dal giornalista Vincenzo Grienti, con la prefazione dell’Arcivescovo di Milano, Mario Delpini.
All’epoca dei fatti don Pozzi, originario di Busto Arsizio, ha superato i 50 anni. E a Clivio si trova da sempre: dal giorno, cioè, della sua ordinazione sacerdotale, avvenuta nel 1901, prima come coadiutore, poi come parroco.
Conosciuto, amato e stimato da tutti, don Gilberto potrebbe limitarsi a gestire quella complicata situazione, facendo da «intermediario» tra le autorità repubblichine e la sua gente, per limitare i danni all’economia locale e i disagi alla popolazione. Ma il parroco è un «combattente», come dicono tutti, e quando i tedeschi hanno ordinato l’evacuazione del paese per ragioni di sicurezza si è opposto risolutamente. Così come non ha esitato ad aiutare, indirizzare e sostenere tutti quegli «sbandati» – militari italiani sfuggiti alla cattura, renitenti alla leva, oppositori al fascismo… – che salgono quassù per cercare salvezza, espatriando in Svizzera.
Il 26 novembre 1943 don Pozzi viene arrestato una prima volta (accadrà ancora nel 1944) e tradotto a Milano per essere interrogato. Non nega niente, ma dice di aver fatto soltanto il suo dovere di prete: dare aiuto a chi glielo chiede, in nome di Dio.
Liberato, torna ad agire come prima, con ancora maggiore impegno: il curato di Clivio, infatti, è un punto di riferimento per l’organizzazione scautistica clandestina Oscar, creata da don Andrea Ghetti (fra gli altri), ed è in «combutta», come dicono i fascisti, con altri parroci della zona, come don Giovanni Bolgeri a Saltrio o don Gioachino Brambilla a Viggiù, per far scappare in terra elvetica i ricercati.
Per questa sua attività, lo «Schindler di Clivio» ha potuto contare sull’aiuto di una schiera di donne e uomini coraggiosi: come Nella Molinari; o come il maresciallo maggiore della Regia Guardia di finanza Luigi Cortile, che ha pagato con la vita il suo eroismo, deportato e ucciso a Mauthausen.