Un saggio di Giorgio Vecchio basato anche su documenti inediti, in cui si scoprono i fili (diretti e indiretti) che legano tra loro tre dei personaggi più significativi e profetici della Chiesa nel nome dell'Africa.

di Silvio MENGOTTO

Cristiani nel deserto Foucauld Mazzolari Paoli Vecchio

La “primavera araba” ancora in corso suggerisce la necessità e l’urgenza di sviluppare un dialogo con il mondo arabo e la loro religione, anche per alimentare la speranza di un futuro per questi popoli. Sono prospettive che hanno accomunato, intrecciato, la storia di tre testimoni profetici della Chiesa «il beato Charles de Foucauld, fondatore di una ricchissima e variegata famiglia spirituale; don Primo Mazzolari, prete lombardo ben noto per i suoi numerosi scritti e per le prediche accorate e taglienti; fratel Arturo Paoli, già vice assistente nazionale dell’Azione Cattolica ai tempi di Carlo Carretto, poi religioso con i Piccoli Fratelli e testimone di carità tra i poveri dell’America Latina».

Questo saggio di Giorgio Vecchio raccoglie materiale inedito svelandoci la rete che legava queste tre fortissime personalità. Il deserto, come occasione di incontro e conoscenza con i più diseredati, è stato il cammino percorso da Arturo Paoli in America Latina e don Primo Mazzolari tra i contadini mantovani.

Già nel 1928 don Mazzolari definisce Charles de Foucauld «l’apostolo del Sahara» che, nel trascorrere degli anni, diventerà figura di riferimento e fonte ispiratrice. Nel quindicinale «Adesso»  don Mazzalari dedica diversi articoli alla figura di Charles de Foucauld a ai suoi discepoli. Dalla testimonianza di Charles de Foucauld tra i musulmani di Algeria, don Mazzolari capisce che prima dell’evangelizzazione, della predicazione è necessaria la condivisione. Per don Mazzolari «solo lo stile di condivisione rispettosa di padre Charles poteva consentire di superare il divario enorme esistente tra le popolazioni europee e quelle africane (e asiatiche): un’indicazione di grandissima attualità ancora oggi, a oltre mezzo secolo di distanza: la condivisione prima della predicazione, l’amore rispettoso e totalmente gratuito prima della (ipotetica e non necessaria) conversione».

Attraverso Mario Rossi fratel Arturo fa amicizia con don Mazzolari. Durante l’esperienza algerina tra i Piccoli Fratelli nella città di El Abiodh fratel Arturo ha l’opportunità di approfondire la spiritualità di Charles de Foucauld. In una lettera inviata a Rossi e don Mazzolari scrive: «Nel deserto sto trovando me stesso, perché sto trovando Dio, attraverso il lavoro, la preghiera e la rinuncia che necessariamente comporta una vita rimasta intatta in secoli lontani; di cui le nostre città, e la nostra civiltà non ha più nemmeno il ricordo». Il sacerdote lucchese scriverà altre lettere a don Mazzolari che testimoniano l’evoluzione di questo cammino spirituale «in un contesto che si andava facendo sempre più drammatico, visto che il giorno di Ognissanti del 1954 era iniziata la sanguinosa guerra per ottenere l’indipendenza dell’Algeria dalla Francia».

Sia don Mazzolari che fratel Arturo matureranno insieme l’importanza e l’urgenza «di mutare l’atteggiamento della Chiesa verso i popoli del cosiddetto Terzo Mondo e in particolare verso il mondo islamico». Nell’esperienza tra i poveri fratel Arturo scopre anche il senso concreto dell’intercessione divina, che si evidenzia pastoralmente nello stare fisicamente e spiritualmente in mezzo alle persone, in mezzo ai problemi e alle ferite. L’amore verso il prossimo, in particolare verso i poveri, è nell’essere come Cristo non nella pietà di lui.

Nella conferenza “La strada della pace”, sulla figura di Charles de Foucauld, don Mazzolari dice «C’è qualcosa nella nostra maniera di voler bene al prossimo che ha bisogno di essere riveduta, perché altrimenti noi rimarremmo sempre in una insufficienza di carità, che non ci aprirà mai i cuori dei nostri fratelli. Ad un certo momento, abbiamo l’impressione di poter proteggere qualcuno, abbiamo un senso di pietà che nasce da una superiorità, anche inconsapevole, ma che è sempre una superiorità. De Foucauld ha sentito che questa non è la maniera vera di volere bene ai figli di Dio. Egli è diventato come uno di loro. Niente di più. Ha accettato di pensare come loro, non soltanto di vestire come loro. Lo sforzo che fa per potere apprendere bene il loro linguaggio non è che un mezzo per potersi identificare con loro, cosicchè nessuno potesse sentirlo diverso».

Con questa preoccupazione di fondo fratel Arturo ha cercato di portare «più amore ai poveri, perché ho cercato e cerco di vivere come loro. Il deserto rende automaticamente inattuali tutti i fronzoli e tutto il superfluo. Viviamo in mezzo a gente che periodicamente, cioè quando non piove come quest’anno, perde ogni suo avere e le famiglie vengono decimate dalla fame, e vivono sotto le tende. Siamo a poche centinaia di chilometri dall’Europa ma a centinaia di anni dal suo progresso». Nella testimonianza di fratel Arturo sulla figura di don Mazzolari, datata ’98, il religioso conclude «Oggi la Chiesa non ci chiede più né apologetica, né apporti dottrinali, ci chiede speranza, una speranza senza contenuti ma nella vita, nella promessa della vita. Che rimarrà del passato, di quello che è il nostro presente? Paolo ci risponde: la carità, l’amore».

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