La Biblioteca fondata a Milano dal cardinale Federico Borromeo oltre quattro secoli fa conserva uno straordinario patrimonio di manoscritti. Oggi è stato pubblicato il catalogo dei documenti del XIV secolo, con pezzi eccezionali come il celebre "Virgilio" del Petrarca. Nell'occasione è stata realizzata anche una nuova mostra.
di Luca
FRIGERIO
Chissà che emozione, per quegli otto. Chissà la loro trepidazione, il loro stupore, la loro gioia nel cercare, nel trovare, e quindi nel mettere in salvo, a disposizione di tutti, quegli inestimabili tesori. Gli “otto”, ce lo dice Alessandro Manzoni nei Promessi sposi, erano quegli uomini «dei più colti ed esperti», che il cardinal Federico Borromeo, fondatore della veneranda Biblioteca ambrosiana, spedì «per l’Italia, per la Francia, per la Spagna, per la Germania, per le Fiandre, nella Grecia, al Libano, a Gerusalemme» a fare «incetta» di codici e testi antichi: autentici “tesori”, appunto.
Erano i primi anni del Seicento. Oltre quattro secoli sono trascorsi da quell’epoca avventurosa e pionieristica, e l’Ambrosiana nel frattempo si è andata arricchendo sempre più: un patrimonio straordinario, che oggi conta oltre trentacinquemila manoscritti, con pezzi unici ed eccezionali, e circa ottocentomila volumi a stampa, compresi duemilacinquecento incunaboli e moltissime edizioni rare.
Un insieme del genere non basta possederlo, naturalmente. Ma va custodito e studiato, a beneficio dell’intera umanità, proprio come ha disposto l’illuminato cardinal Federico, cugino di san Carlo e suo successore alla guida della Diocesi di Milano. E per fare questo, la catalogazione – esatta, scrupolosa, scientifica – è il primo e fondamentale strumento.
Una sessantina di anni fa, l’indimenticata Renata Cipriani, collaboratrice di Fernanda Wittgens a Brera e di Gian Alberto Dell’Acqua alla Cattolica, aveva iniziato a catalogare i codici miniati medievali della Biblioteca ambrosiana. Scomparsa prematuramente nel 1963, la studiosa non era riuscita a portare a termine quel titanico lavoro, che era stato comunque completato da amici e colleghi. Il suo catalogo postumo, il «Cipriani» (come è familiarmente chiamato, nell’ambiente), è considerato una pietra miliare e un testo di riferimento in questo settore. Ma, proprio nell’evolversi continuo degli studi, anche quel repertorio aveva bisogno di un aggiornamento, alla luce delle ricerche più recenti.
Ecco allora che è stato approntato un nuovo catalogo, seppur limitatamente, per ora, ai manoscritti miniati italiani del Trecento (il cosiddetto fondo inferior), che conta autentici capolavori: dal celebre «Virgilio ambrosiano» del Petrarca (con il meraviglioso frontespizio di Simone Martini), al «Livio volgarizzato», copiato nel 1373 in area veneta, con un ciclo illustrativo pressoché completo (e quindi straordinario).
Pubblicato da Viella, casa editrice specializzata in ricerche d’alto profilo e che ha ormai in catalogo diversi titoli di storia e cultura ambrosiana, questo testo è nato dall’incontro di esperienze diverse, ma complementari, che offrono al lettore, anche non specialista, uno sguardo ampio e completo su quella «miniera di storie» che ogni manoscritto medievale racchiude: soprattutto quanto si tratta di documenti di eccezionale importanza, come quelli conservati nella Biblioteca borromaica.
Marco Petoletti, che insegna Letteratura latina medievale all’Università cattolica di Milano, ha curato l’analisi codicologica e testuale dei manoscritti del XIV secolo. Mentre Milvia Bollati, docente di Storia della miniatura presso l’ateneo del Sacro Cuore, si è occupata dello studio dell’apparato iconografico e della sua storia critica. Il tutto in un’edizione arricchita da una novantina di tavole fotografiche a colori che illustrano la bellezza e la varietà di questi antichi codici, che ha visto la luce grazie al contributo di Nicoletta Cipriani, che ha voluto così rendere omaggio alla memoria della sorella Renata.
Nell’occasione, l’Ambrosiana ha voluto presentare al pubblico alcuni di questi splendidi codici trecenteschi. Si tratta di un’opportunità da non perdere perché, come si può ben comprendere, questi preziosi e delicati documenti di norma sono accessibili solo agli studiosi.
Tra i manoscritti esposti nelle sale della Pinacoteca, fino al prossimo 15 novembre (info su www.ambrosiana.it), si può ammirare il Seneca tragico, miniato da Niccolò di Giacomo da Bologna intorno al 1385 con scene che visualizzano il contenuto delle Tragedie antiche. Un altro miniatore, il frate agostiniano Pietro da Pavia, firma invece le illustrazioni della Storia naturale di Plinio il Vecchio: l’artista si ritrae al lavoro nell’iniziale del libro trentacinquesimo, dedicato all’arte antica, e data la sua impresa al 1389. Animali, soprattutto quelli fantastici, che tornano nello straordinario Solino, un unicum nel panorama della trasmissione di questo compendio di mirabilia, per l’eccezionale complessità e qualità dell’apparato iconografico, con un affascinante repertorio delle creature fantastiche del bestiario medievale.
Incantevole, fra gli altri, è il messale ambrosiano della fine del Trecento (E 18 inf), la cui Crocifissione a tutta pagina aveva attirato già l’attenzione di Pietro Toesca un secolo fa, per la sua «grandiosità degna di un frescante». Assegnata in passato a uno dei maggiori miniatori dell’epoca, Anovelo da Imbonate, la bellissima scena è oggi attribuita alla scuola di un altro “gigante” di quel periodo, Giovannino de Grassi, e in particolare a suo figlio Sebastiano: ancora una volta, insomma, buon sangue non mente.