Nel suo ultimo volume, «Una volta sola. Storie di chi ha avuto il coraggio di scegliere», il giornalista e scrittore racconta vicende di persone che, in momenti cruciali, hanno potuto contare su sostegni insospettati

di Stefania Cecchetti

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Mario Calabresi

È figlio della pandemia, il nuovo libro di Mario Calabresi Una volta sola. Storie di chi ha avuto il coraggio di scegliere, appena uscito per Mondadori, che l’autore ha presentato mercoledì 9 novembre, durante un seguitissimo incontro organizzato dalla parrocchia di Santa Francesca Romana a Milano (ascolta qui l’audio dal canale Youtube della parrocchia).  

Precarietà e intensità

Il volume – spiega l’autore – nasce «da quella sensazione di precarietà che tutti abbiamo percepito in quei mesi terribili, quando abbiamo toccato con mano che tutte le piccole cose che fanno la nostra vita non si possono dare per scontate, che proprio nessun istante si può sprecare». La pandemia, secondo Calabresi, è stato un incredibile «acceleratore di fenomeni e di destini». Per questo, da grandissimo storyteller qual è, ha raccolto in questo libro una manciata di storie che hanno in comune una cosa: sono tutte vite vissute con intensità, segnate da scelte coraggiose. Come la storia di Claudia, che trova il coraggio di prendere i suoi figli e fuggire dal marito camorrista, vivendo di fatto una vita da clandestina; o di Laura, che non si arrende alla Sla e sceglie di vivere per vedere crescere i suoi figli.

Mario Calabresi firma copie durante l’incontro a Milano

Una finestra sul mondo del giornalismo

Tutti noi abbiamo dei tipping points, punti di non ritorno che hanno fatto sterzare il nostro destino, ma che non sono necessariamente eventi eccezionali. Lo stesso Calabresi ne individua uno nella sua vita, che non è l’omicidio del padre, il commissario Luigi Calabresi, come forse qualcuno si aspetterebbe, ma un convegno al quale lo spedisce il suo direttore a Repubblica Ezio Mauro, come suo sostituto: «Non gli chiesi nemmeno dove dovessi andare, pensavo al solito convegno a Caserta o a Bolzano – racconta -. Invece era a Buenos Aires, in Argentina. Una settimana in cui mi sono ritrovato con gente come i direttori del Pais, del Guardian di Le Monde e del New York Times. Un’esperienza che mi ha aperto una finestra sugli altri giornali del mondo e sullo sviluppo del digitale, che in Italia non era ancora esploso, e parliamo di quasi vent’anni fa. Quel viaggio ha cambiato completamente la mia visione del giornalismo e mi ha permesso di costruire una rete di contatti internazionali che ha cambiato la mia carriera».

L’avventura di Alì

Una delle storie più belle del libro è quella di Alì, profugo afghano conosciuto – anzi, forse più che conosciuto, “perseguitato” da Mario – in una sartoria di Torino. Un’intervista durata un anno, la più lunga della sua vita. Calabresi insiste su quelle due parole: «profugo afghano», un’etichetta vuota sentita pronunciare chissà quante volte, che nasconde volti, persone, mondi interi. Un’etichetta come quella che fa molto discutere in questi giorni, «carico residuale». Come possiamo riempire quell’espressione? «Il carico residuale – spiega – si riempie sottraendo a un simbolo, anche terribile, le persone che ci sono e restituendo loro umanità e vita. Perché ciascuno di loro ha una storia fatta di sogni, di speranze, di sofferenze e di fatica che merita di essere riconosciuta, che merita un nome e cognome».

Il libro

Alì ha potuto rifarsi una vita, dopo la sua fuga da Kabul. Adesso fa il sarto e sta per sposarsi. Questo non sarebbe stato possibile senza l’aiuto di tante persone che nei momenti più difficili hanno allungato una mano e non l’hanno lasciato affondare. L’amico Ahmad che lo ha trascinato sulla coperta della barca che li stava portando in Italia, per evitare che soffocasse; il sindaco di un paese calabrese che l’ha ospitato nella casa di una vecchia zia da poco scomparsa; il gruppo di amici che ha garantito con l’agenzia per l’affitto del negozio. Quanto pesa, nelle vite delle persone, nelle scelte coraggiose l’aiuto che cambia il destino, l’aiuto degli altri? «Raccontando queste storie – spiega Calabresi – mi sono reso conto di come ci siano momenti fondamentali, nella nostra vita, nei quali non ce la possiamo fare da soli, nei quali la mano degli altri è la cosa cruciale che ci permette di salvarci. Dobbiamo renderci conto che gli altri sono fondamentali. E che molto spesso gli altri siamo noi».

La prossima presentazione di Una volta sola. Storie di chi ha avuto il coraggio di scegliere (Mondadori, 171 pagine, 18 euro) si terrà sabato 12 novembre, alle 11, a Varese, in piazza Monte Grappa 5, nell’ambito del Festival Glocal.

 

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