Il grande pittore francese è morto lo scorso 23 agosto a 92 anni. Un’arte, la sua, che si fa invocazione, lode, preghiera. Tre anni fa il Centro Pastorale di Seveso gli ha dedicato un'ampia mostra: la prima a lui dedicata nella Diocesi di Milano.

arcabas

di Luca FRIGERIO

Volti, gesti, segni. E poi i colori, caldi, morbidi, che avvolgono lo sguardo come un’onda di tenerezza. Con l’oro a brillare su tutto, scintilla di infinito nella notte del peccato, presenza ineffabile che redime il nulla che siamo, carne, sangue, polvere. Nel sorriso di un angelo, nella carezza della Madre, nell’abbraccio del Risorto.

Arcabas, uno dei più grandi artisti del nostro tempo, è morto lo scorso 23 agosto: il prossimo dicembre avrebbe compiuto 92 anni. Un uomo a cui è stato dato il dono straordinario di evocare la Bellezza attraverso la bellezza stessa. Un artigiano della grazia, che dalle sue mani si espande sulla tela, riverberandosi negli occhi di chi guarda, in una continua catena di emozioni (e di provocazioni). Il ministro di un culto universale, di un’arte che si fa invocazione, lode, preghiera. E dove ogni pennellata è frammento di quella eternità di cui siamo parte.

Di Arcabas il Centro Pastorale Ambrosiano aveva presentato, tre anni fa, oltre quaranta opere, in un eccezionale percorso espositivo all’interno del santuario di San Pietro Martire a Seveso. Una mostra, dall’evocativo titolo «Nutrire il mondo con la bellezza», che aveva costituito una novità assoluta per la diocesi ambrosiana, che per la prima volta ha ospitato un’entusiasmante raccolta di capolavori del maestro francese.

«Arcabas», questo nome misterioso che sa di profezia biblica, ma che Jean-Marie Pirot scelse quale suo pseudonimo come per caso, vedendolo comparire tra i manifesti lacerati della contestazione sessantottina, come un segno del destino, come una voce della divina provvidenza. Che lo ha chiamato a dare forma e colore alla pagina evangelica, alla speranza cristiana. Con la certezza, come afferma lui stesso, che «in tutte le creature, animali o oggetti che ci circondano, c’è una parte dello Spirito», e per questo «meritano che la loro singola bellezza sia onorata».

Come il pane, che Arcabas ha ritratto in molte sue opere, che è nutrimento quotidiano e cibo di vita eterna. Come il pesce, emblema stesso di Cristo nel suo nome greco. Ma anche in una semplice pera, frutto del nuovo Eden in cui saremo condotti dal nuovo Adamo. E perfino in un prosaico armadio, custode di domestiche utilità, ricovero di materiali necessità, e che viene invece come trasfigurato dal segno della salvezza, dalla croce gloriosa che fa nuove tutte le cose.

E poi la lotta di Giacobbe con l’angelo, desiderio viscerale di sacre benedizioni. Il combattimento di san Giorgio col drago, che è innanzitutto vittoria sul male che è in noi, con la forza di Dio. L’abbraccio del padre al figlio che torna, nel nome della misericordia e del perdono. L’attesa di un annuncio di verità che libera. Fino al monumentale polittico che è omaggio al grande Bernanos, denuncia delle moderne ipocrisie e dei crimini del nostro tempo che ancora e continuamente mettono in Croce il Figlio dell’uomo…

Ma, direbbe Arcabas, «della bellezza non si parla, la si contempla». E allora, oggi più che mai, si tornerà ad ammirare le opere che ci ha lasciato, con gratitudine e un po’ di nostalgia.

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