Il 6 febbraio 1922 l'arcivescovo di Milano saliva al soglio pontificio, dopo una breve permanenza, appena cinque mesi, alla guida della diocesi ambrosiana. Scelse il nome di Pio XI come «auspicio di pace» e il suo primo gesto come pontefice fu clamoroso, benedicendo la folla dalla loggia esterna di San Pietro, cosa che non accadeva più dal giorno della presa di Roma. Un segno che il suo pontificato sarebbe stato davvero "aperto" a tutto il mondo.
di Luca
Frigerio
«Bisogna passare di qui per andare a Roma». Chissà se Achille Ratti, uscendo dal conclave come papa eletto, avrà ripensato a queste parole che gli aveva rivolto il vescovo di Tarbes e Lourdes, accogliendolo alla grotta di Massabielle alla fine di agosto del 1921. Ratti, infatti, da poco nominato nuovo arcivescovo di Milano e prima ancora fare il suo ingresso in diocesi, aveva voluto guidare il pellegrinaggio nazionale a Lourdes, «per cercare nella città di Maria la benedizione della Madre, al momento di assumere un incarico oneroso», come aveva detto lui stesso ai pellegrini. Del resto, ed era il motivo della battuta di spirito del prelato francese, anche Benedetto XV era venuto a Lourdes un anno prima di essere eletto papa…
In realtà per il cardinal Ratti, dalla sua visita a Lourdes alla sua elezione a pontefice, il 6 febbraio 1922, un secolo fa, trascorreranno soltanto cinque mesi. Assai breve, di conseguenza, fu anche la sua guida della diocesi ambrosiana. «Raptim transit» – passa rapidamente: espressione tratta dal libro di Giobbe, con evidente richiamo onomastico – fu il motto episcopale da lui scelto: argutamente e, verrebbe da dire, profeticamente.
La stima di Benedetto XV
Era stato proprio Benedetto XV, grande estimatore delle qualità umane e delle doti intellettuali del già prefetto della Biblioteca Ambrosiana (e poi di quella Apostolica Vaticana), a volerlo come successore del beato cardinal Ferrari. Con la nomina di Ratti, infatti, papa Della Chiesa aveva voluto restituire a Milano un ambrosiano colto, attento alla carità, patriottico, equilibrato (non «integrista» e neppure «liberale»), un conoscitore finissimo della società lombarda, dal carattere saldo e determinato. Caratteristiche, senza dubbio, che indirizzeranno su di lui anche le attenzioni dei cardinali nel conclave.
Achille Ratti, del resto, aveva avuto modo di allargare i propri orizzonti anche al di là della terra ambrosiana, con la sua permanenza a Roma e, soprattutto, con le sue esperienze internazionali. Era stato naturalmente Benedetto XV a inviarlo come visitatore apostolico in Polonia e Lituania, nei giorni tremendi della prima guerra mondiale, l’«inutile strage», come l’aveva bollata il pontefice stesso in un celebre quanto inascoltato appello alla pace.
Ratti era rimasto stupito di quell’incarico, così lontano e differente dai suoi impegni di studioso e di assistenza spirituale. Ma il papa aveva scelto lui proprio per quelle capacità di «conciliatore» autorevole che tutti gli riconoscevano, e che in una terra dilaniata come quella polacca del 1917 potevano rivelarsi preziose: insieme al fatto che il prefetto della Biblioteca Vaticana era poliglotta ed «estraneo», agli occhi dei politici stranieri, dai «giochi» della Segreteria di Stato vaticana…
In conclave
Il 22 gennaio 1922 moriva papa Benedetto XV, che aveva tracciato, in diversi campi, orientamenti decisivi a sostegno di una politica mondiale pacifista, di una missionarietà priva di colonialismi e di un concreto ecumenismo (soprattutto verso il mondo ortodosso). Il cardinal Ratti era consapevole di essere tra i papabili come suo successore? Quando glielo si faceva presente in pubblico, l’arcivescovo di Milano si schermiva. E al collega di Malines, che gli confidava che molti cardinali avevano in animo di votare per lui, rispose con una battuta che ricordava il noto adagio: «In conclave chi entra papa, esce cardinale». Ma bastava leggere i giornali dell’epoca per osservare che il suo nome ricorreva di frequente tra i vaticanisti, e ancor più nelle sedi diplomatiche.
Del resto era noto che nel Sacro Collegio si fronteggiavano due diverse posizioni: la prima rappresentata dall’ala più intransigente, che aveva come fautori il cardinale Merry del Val, segretario della Congregazione del Sant’Uffizio, e il patriarca di Venezia, Pietro La Fontaine; la seconda, più conciliante, che aveva come figura di riferimento quella del cardinal Gasparri, segretario di Stato.
I primi scrutini evidenziarono una situazione di stallo, attorno ai nomi dei «capofila». E fu allora che quello dell’arcivescovo di Milano cominciò a prendere maggior quota. Il quarto giorno di votazioni, lunedì 6 febbraio, dopo il quattordicesimo scrutinio, Ratti ottenne il quorum richiesto, ovvero i due terzi dei suffragi. Quando il cardinale decano gli chiese, secondo la formula canonica, se accettava la sua nomina a sommo pontefice, rispose: «Malgrado la mia indegnità, di cui ho profonda consapevolezza, accetto». E scelse per sé il nome di Pio XI, perché, disse, «Pio è un nome di pace».
A quel punto il nuovo papa manifestò ai presenti un’intenzione davvero inattesa: malgrado il ruolo di paladino della Santa Sede, papa Ratti voleva impartire la sua prima benedizione ai fedeli affacciandosi dalla balcone esterno della basilica vaticana: cosa che non avveniva più dal 20 settembre 1870. Ma era un gesto che, più di ogni discorso, diceva della volontà di questo papa di aprirsi non solo all’Italia, ma al mondo intero: un auspicio universale di pace.